Page 93 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 9 – Proposte e discussioni nell’età del razionalismo giusnaturalista

9.2. Verso la polemica illuminista: Christian Thomasius
La prima presa di posizione relativa al rapporto tra accusa e inquisizione per la quale si
possa spendere con una certa tranquillità l’aggettivo ‘illuminista’ è rintracciabile, con
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ogni probabilità, in una dissertazione accademica pubblicata da Christian Thomasius a
Halle nel 1711 e intitolata De origine processus inquisitorii.
Questa dissertazione si inserisce a pieno titolo in una lunga serie di brevi scritti po-
lemici e didattici nei quali l’autore – che si guadagnò per la grande notorietà e per
l’enorme prestigio accademico l’appellativo di Praeceptor Germaniae – conduce una
serrata revisione critica del sistema penale vigente nell’Europa del tardo diritto comune.
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Tali opuscoli hanno per oggetto, volta a volta, la bigamia, l’eresia, la magia, la stre-
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goneria e – forse lo scritto più noto – la tortura (della quale si auspica la totale aboli-
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zione), e fanno del loro autore il primo grande esponente della moderna penalistica
liberale, mettendone in evidenza lo spirito pragmatico e riformatore, le notevoli capaci-
tà di divulgatore anche delle più innovative teorie e, giova sottolinearlo, la precoce co-
noscenza del modello inglese.
La Dissertatio de origine processus inquisitorii sviluppa in 55 paragrafi (brevissi-
mi, quasi telegrafici, ma corredati da un ricco apparato di note) la tesi secondo cui
l’origine storica del procedimento inquisitorio diffuso – con la sola eccezione
dell’Inghilterra, ove vige soltanto il processo accusatorio («in Anglia ubi solus viget
processus accusatorius») – in tutta Europa all’inizio del XVIII secolo, deve essere ri-
cercata nel diritto canonico, e precisamente nei provvedimenti volti alla repressione dei
movimenti ereticali emanati all’inizio del XIII secolo a opera di Innocenzo III. Con tale
strumento giurisdizionale i pontefici avrebbero inteso perpetuare, sotto l’apparenza del-
la giustizia («sub specie iustitiae»), il loro potere sui laici, a lungo acquisito con vari
artifici («imperium in laicos, variis artibus diu quaesitum»). Al di là di questo dichiara-
to intento polemico, lo scritto si segnala in quanto esso tocca, ex professo o indiretta-
mente, tutte le tematiche che saranno ben presto riprese e approfondite dalla critica ri-
formista settecentesca.


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Christian Thomasius (Lipsia 1655 - Halle 1728) è uno dei massimi esponenti del giusnaturalismo e del
giusrazionalismo europeo a cavallo tra XVII e XVIII secolo. Laureatosi nel 1672 in filosofia e nel 1679 in
giurisprudenza, opera a Lipsia come avvocato penalista e insegnante privato fino al 1690, quando si
traferisce a Halle ove di dedica all’insegnamento universitario.
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De crimine bigamiae, Halle 1685. Le ragioni della repressione della bigamia risiedono, secondo
Thomasius, nel turbamento della pace sociale e non nei principi di diritto naturale.
5 Problema iuridicum an haeresis sit crimen, Halle 1697. L’eresia non deve essere perseguita penalmente
dallo Stato perché rappresenta uno sviamento dell’intelletto e non della volontà, mentre i reati si qualificano
appunto in base alla volontà; d’altro canto, l’eresia è opinione, e il mero pensare al reato non è punibile.
6 De crimine magiae, Halle 1701. Il reato di magia non è configurabile per mancanza di oggetto: lo Stato
non deve sanzionare penalmente comportamenti inefficaci e che sono riprovati, in seguito a una falsa
rappresentazione della realtà, solo dalla morale religiosa o dalla superstizione.
7 De origine processus inquisitorii contra sagas, Halle 1712.
8 De tortura ex foris christianorum proscribenda, Halle 1705. Dopo avere descritto i caratteri dell’istituto,
definito «violenta ricerca della verità fatta attraverso i tormenti» («violenta veritatis per tormenta facta
inquisitio»), Thomasius ne auspica l’abolizione in quanto appare contrario alla morale e all’umanità, non
si addice allo «stato civile», ha i caratteri della pena anticipata, viola il diritto e la libertà di autodifesa, e
può infine causare la confessione dell’innocente.

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