Page 97 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 9 – Proposte e discussioni nell’età del razionalismo giusnaturalista

lo della persecuzione dell’innocenza, della buona fama e della dignità del singolo, il
processo inquisitorio comporta inconvenienti assai più gravi.
All’ulteriore obiezione relativa al fatto che i reati occulti sono perseguibili soltanto
mediante l’inquisizione, Thomasius ribatte osservando che, al proposito, si dà per scon-
tato ciò che in realtà è assai dubbio, e cioè che effettivamente risponda al pubblico inte-
resse punire reati che non lasciano tracce né testimoni.
Semplicemente ridicolo – per chi conosce bene non solo le astratte teorie ma anche
la concreta pratica del processo inquisitorio – è poi il semplice pensare (come pure fan-
no alcuni partigiani dell’inquisitio) che il giudice-inquisitore dovrebbe essere incaricato
anche della difesa dell’imputato, concentrando in sé le tre persone del processo (e in-
correndo, tra l’altro, nel crimine di prevaricazione).
A chi infine osserva che vi sono taluni reati non occulti – e segnatamente reati di
natura sessuale – che non sono previsti dal diritto romano-comune e che dunque po-
trebbero essere perseguiti solo per via d’inquisizione, Thomasius – applicando la fon-
damentale distinzione tra morale e diritto che, come noto, caratterizza le sue concezioni
giusfilosofiche – replica che i vitia carnali non devono essere confusi con i crimina, e
che i primi semplicemente non devono essere perseguiti né per accusa né per inquisi-
zione, poiché appartengono alla sfera della morale e non del diritto.



9.2.2.2. Arbitrium e sistema probatorio

L’ultima parte della discussione di Thomasius è dedicata agli argomenti assolutamente
centrali dell’arbitrio giudiziale e del sistema probatorio, e in particolare al delicato rap-
porto tra i poteri discrezionali del giudice e il ruolo degli indizi.
I fautori del modello inquisitorio sostengono che in quest’ultimo al giudice non sia
concesso di agire in modo arbitrario («pro libidine sua et mero arbitrio») e che anzi egli
sia condizionato, nelle sue decisioni, alla vincolante presenza di determinati indizi («ad
certa indicia, tanquam ad normam»). Thomasius reagisce duramente a tale affermazio-
ne, sostenendo la verità del contrario, e ciò che nell’inquisitio sia la determinazione
degli indizi che la valutazione delle loro conseguenze (ad esempio per procedere
all’inquisizione speciale, alla cattura o alla tortura) è totalmente rimessa all’arbitrio dei
giudici e non è soggetta ad alcuna regola certa, come evidentemente risulta anche dagli
artt. 18 e 24 della Constitutio Criminalis Carolina.
Sul medesimo tema, un secondo argomento dei sostenitori dell’inquisizione sotto-
linea come nel procedimento accusatorio gli imputati possono essere condannati anche
in base a prove indiziarie («etiam propter indicia»). Nell’inquisitorio invece la pena
edittale (diverso è ovviamente il discorso per la pena straordinaria) viene irrogata solo
quando si manifesti la piena prova legale o la confessione del reo («numquam condem-
nentur super solis indiciis, sed vel factum ipsum debeat probari, vel confessio rei ades-
se»). La risposta di Thomasius è articolata, in questa occasione, su due punti: a) in pri-
mo luogo, gli indizi possono ben presentarsi più chiari della luce meridiana («luce me-
ridiana clariora»), e allora non si vede cosa possa impedire la condanna dell’imputato
anche non confesso (come accade ad esempio in Inghilterra); b) in secondo luogo,


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