Page 98 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale

l’argomentazione dei fautori dell’inquisitio avrebbe valore se la confessione (sulla qua-
le si fonda nella gran parte dei casi la sentenza in tale modello processuale) fosse libera
e spontanea, ma il fatto che questa risulti ordinariamente estorta con tormenti spesso
più crudeli della stessa pena («tormentis, saepe gravioribus ipsa poena, extorta») toglie
alla detta obiezione ogni rilevanza.




9.2.2.3. Calunnia e polemica anticanonistica
A questo punto Thomasius ritiene di avere abbondantemente dimostrato non solo che
nel diritto naturale il processo inquisitorio non gode di alcun particolare fondamento a
danno dell’accusatorio, ma anche che non sono poche le iniquità, inutilmente occultate
(«frustra occultatas»), che interessano quel modello processuale. Egli intende però
svolgere, prima di concludere l’argomento, ancora un paio di ulteriori significative con-
siderazioni. La prima riguarda la calunnia. Laddove si è adottato il procedimento accu-
satorio, sono state stabilite pene assai severe nei confronti degli accusatori falsi o teme-
rari. Lo stesso – osserva Thomasius – non si può dire del processo inquisitorio, nel qua-
le non è previsto alcun rimedio efficace per colpire i calunniatori (siano essi dei delatori
o, si badi bene, gli stessi giudici) o quantomeno per dare soddisfazione all’innocente
ingiustamente perseguito. La seconda breve considerazione ritorna sulla polemica anti-
canonistica e riguarda il fatto che, se non l’origine, certo l’abnorme incremento della
carcerazione preventiva e del ricorso alla tortura sono precisamente dovuti a coloro – e
l’esplicita allusione riguarda le gerarchie ecclesiastiche – che hanno storicamente pro-
mosso il ricorso alle forme inquisitorie per combattere le eresie.



9.2.3. Una riforma pragmatica, laica e razionale

In sintesi, la posizione che Thomasius delinea nel De origine processus inquisitorii in
ordine al rapporto tra accusa e inquisizione si incentra su un giudizio pesantemente ne-
gativo nei confronti della seconda. Il processo inquisitorio risulta in primo luogo illogi-
co e arbitrario in quanto non fondato sul diritto naturale e sulla ragione (o meglio sui
dictamina rectae rationis); in secondo luogo, esso mostra di possedere radici storiche
ben individuabili e certo non commendevoli (la repressione canonistica delle eresie), e
grazie in parte a tali radici e in parte alla sua stessa struttura, appare crudele e disumano
nello svolgimento, incerto e sommario nelle soluzioni, nettamente avverso all’imputato
e, infine, singolarmente incline a favorire abusi e iniquità.
Thomasius si mostra peraltro molto cauto in ordine a una eventuale totale abolizio-
ne, dovuta appunto ai suoi frequenti abusi, dell’inquisitio, e a una conseguente piena
reintroduzione dell’accusatio. A questo proposito, egli nota come comunemente si so-
stenga che, una volta conosciuti gli aspetti perversi di un istituto, si debba pubblica-
mente intervenire legislativamente per toglierne l’uso assieme all’abuso («usum cum
abuso esse tollendum per leges publicas»). Egli è però di parere contrario; infatti



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