Page 81 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
P. 81







Capitolo 8 – La penalistica europea tra XV e XVIII secolo

sempre riconducibili, a cominciare dalla denunciatio, a uno dei due moduli fondamentali.
Carpzov abbandona però la via tracciata da Claro quando l’autore del Liber Quintus
conduce il proprio ragionamento alle sue estreme e più interessanti conseguenze,
sostenendo che in effetti l’accusatio non esiste più, e che l’iniziativa del privato serve
solo a dare il via all’unico rito penale applicato in concreto dalle corti, l’inquisitio.
La conclusione di Claro – chiosa Carpzov – è forse valida per l’Italia, ma non ap-
pare altrettanto applicabile in Sassonia («in nostro foro»), ove

nelle cause criminali non vi è soltanto il giudice che inquisisce ex officio, e nelle
stesse non è raro che si proceda per via d’ accusa […] cosicché negli affari criminali
si procede in due modi, e cioè ordinariamente per via d’accusa, e per inquisizione
(«non tantum iudex ex officio inquirit in causis criminalibus, sed et in iisdem haud
raro proceditur per viam accusationis […] ut sic duplici modo in criminalibus
procedatur, per viam scilicet accusationis ordinarie, et per inquisitionem»).

Nella prima metà del Seicento, dunque, nelle corti di Sassonia si continua ad applicare
anche il procedimento accusatorio, che viene comunemente considerato ‘ordinario’. A esso
però si contrappone il procedimento ex officio, che solo impropriamente continua a essere
definito ‘straordinario’ e talora ‘sommario’. In realtà, secondo l’ulteriore testimonianza
dello stesso Carpzov l’inquisitio nei tribunali della Sassonia («in foro saxonico») ha già da
tempo acquisito il carattere dell’ordinarietà (e cioè di remedium ordinarium) e si avvia a
svolgere un ruolo dominante presso tutte le corti del Sacro Romano Impero. Tale ruolo –
prosegue Carpzov – è giustificato dal fatto che il procedimento ex officio, oltre a essere il
procedimento proprio del diritto canonico, risulta ampiamente previsto e disciplinato
negli statuti, nelle consuetudini e nelle legislazioni generali e particolari e, a ben
guardare, può essere considerato del tutto lecito e ammissibile anche nel sistema del
diritto romano-comune.
A tali considerazioni Carpzov ne aggiunge altre che indicano come egli non guardi
affatto con sfavore alla progressiva sostituzione dell’inquisitio all’accusatio, e
probabilmente la giudichi in qualche modo necessaria. Nota infatti il giurista sassone che
senza l’iniziativa ex officio del magistrato e in mancanza di un privato accusatore «infiniti
crimini e delitti rimarrebbero impuniti, non senza grave danno per la cosa pubblica»
(«infinita crimina ac delicta impunita remanerent, haud absque insigni rei publicae
detrimento»), e riflette sul fatto che i processi condotti con il metodo accusatorio molto
spesso durano anni e anni prima che si possa giungere alla sentenza definitiva e
all’inflizione della pena; non pochi di questi processi, anzi, vengono del tutto interrotti
per le più varie cause. A tali inconvenienti

si potrà ovviare molto facilmente mediante il processo inquisitorio, e cioè qualora il
giudice senza molte tergiversazioni proceda in modo sommario per via d’inquisizione
e, senza il lungo impedimento della lite, conseguita una sufficiente conoscenza della
causa e certezza del delitto, irroghi la pena al delinquente, e stabilisca un esempio per
il terrore degli altri («per processum inquisitorium facillime subveniri poterit: si nempe
iudex absque multis ambagibus per viam inquisitionis summarie procedat, et absque




71
   76   77   78   79   80   81   82   83   84   85   86