Page 77 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 7 – Prassi e tradizione dottrinale in Italia dal XVI al XVIII secolo
7.6. La sintesi settecentesca di Tommaso Maurizio Richeri
Non è però a uno specialista della materia che ci rivolgiamo per individuare una sintesi
esemplare e nello stesso tempo chiara ed efficace dell’esperienza storica e giuridica fin
qui considerata, destinata ad esaurirsi alla fine del XVIII secolo con l’avvio dell’età
della codificazione. Singolarmente adatte allo scopo ci paiono infatti le pagine consa-
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crate alla forma del processo penale dal piemontese Tommaso Maurizio Richeri,
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«l’ultimo grande scrittore di diritto comune» (Giovanni Tarello).
Nella Universa Civilis et Criminalis Iurisprudentia, ambizioso e per molti versi
conclusivo restatement della cultura giuridica di Antico Regime apparso per la prima
volta in 12 volumi a Torino tra il 1774 e il 1782, Richeri dedica largo spazio alla di-
scussione relativa alla forma del processo penale, nell’ennesimo tentativo non tanto di
risolvere una plurisecolare questione dottrinale, quanto di dare contorni se non altro
meno confusi e incerti al tormentato rapporto instauratosi tra il modello accusatorio
proposto dalla tradizione romanistica e le assai differenti consuetudini giudiziarie af-
fermatesi pressoché ovunque nell’Europa continentale.
Richeri, pur accennando all’esistenza – quantomeno nella tradizione dottrinale – di
forme processuali minori, non rinuncia ad ancorare il proprio discorso alla contrapposi-
zione tra accusa e inquisizione:
Specialmente in due modi i crimini sono dedotti in giudizio, e cioè con l’accusa, o
con l’inquisizione («Duplici praesertim modo crimina in iudicium deducuntur,
nimirum accusatione, et inquisitione»).
La prima viene definita, secondo uno schema tralatizio, come «denuncia del crimine al
giudice realizzata secondo le prescritte forme solenni, al fine di promuovere la pubblica
punizione del colpevole» («delatio criminis ad iudicem, inscriptione solemniter facta,
vindictae publicae caussa»). Pragmatico è invece l’approccio alla seconda: «il crimine
si deduce in giudizio attraverso l’inquisizione quando il giudice indaga sul delitto o di
propria iniziativa o perché spinto dalla pubblica fama» («crimen in iudicium deducitur
per inquisitionem, cum iudex in delictum inquirit, vel motu proprio, vel fama publica
motus»). Quanto alla denuncia, essa non è altro che una «segnalazione del delitto e del
delinquente al giudice competente senza le formalità previste per l’accusa e quindi sen-
za che si debba temere di subire la pena del taglione» («delatio delicti, et delinquentis
apud iudicem competentem sine subscriptione in crimen, adeo que sine metu talionis»),
e si risolve dunque in un semplice strumento atto a mettere in moto l’attività inquisito-
ria del giudice.
11 Tommaso Maurizio Richeri (La Morra 1733 - Torino 1797) si laurea a Torino nel 1754. Pronunciati i
voti sacerdotali nel 1757, dal 1765 si dedica assiduamente agli studi giuridici dando alla luce ampie opere
di sintesi della tradizione di diritto comune indirizzate alla pratica professionale e perciò attente anche al
diritto patrio dello Stato sabaudo. Tra esse spiccano l’Universa civilis et criminalis iurisprudentia (Torino,
1774-1782), il Codex rerum in Pedemontano Senatu iudicatarum (Torino, 1783-1786) e le Institutiones
civilis et criminalis iurisprudentiae (Torino, 1787-1790). Professore onorario di diritto nel 1790, nel 1793
è ammesso all’esercizio dell’attività forense pur non avendo mai svolto il prescritto tirocinio professionale.
12 Giovanni Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. 1. Assolutismo e codificazione del diritto,
Bologna, Il Mulino, 1976, p. 539, n. 105.
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