Page 78 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale
Ampio è lo spazio concesso a una accurata descrizione della disciplina dell’accusatio,
con particolare attenzione per la forma e il contenuto del libello accusatorio e per i limiti
soggettivi, attivi o passivi, posti all’esercizio del diritto in parola. Tale descrizione è condot-
ta, come esplicitamente avverte lo stesso Richeri, con riguardo pressoché assoluto ai
principi dettati dal diritto romano. Ma se si abbandona questo pur sempre autorevole
punto di riferimento e si guarda alle normative vigenti e ancor più alla consolidata pra-
tica giudiziaria, anche al giurista sabaudo non sfugge che
in base alle consuetudini della gran parte delle nazioni l’accusa per la pubblica
punizione del colpevole non è consentita ai privati, ma solo ai procuratori del Fisco
e alle altre simili magistrature in forza del pubblico ufficio che svolgono («moribus
plerarumque gentium privatis non conceditur accusatio publicae vindictae gratia, sed
tantum procuratoribus fisci, et similibus, vi publici officii, quod sustinent»).
L’iniziativa del privato, dunque (la si chiami accusa, querela o denuncia), non appare in
grado di condurre da sola alla pubblica punizione del colpevole (publica vindicta), e
può assumere una qualche rilevanza, alla luce delle specificità locali, solo quando sia la
stessa parte lesa a muoversi e quando ci si riferisca a casi di lieve entità, mentre negli
altri più gravi delitti è il pubblico magistrato ad avviare e condurre ex officio
l’inquisizione («in aliis gravioribus delictis Fiscus ex officio inquirit»).
Le riflessioni e le osservazioni di Richeri indicano con sufficiente evidenza come il
lungo dibattito in esame abbia avuto in Italia, dall’epoca di Alberto da Gandino e di
Guillaume Durand, una evoluzione nel complesso assai lenta, e anzi si sia quasi cristal-
lizzato, pur con talune prestigiose eccezioni, dopo la grande stagione cinquecentesca.
Al termine di mezzo millennio di discussioni e di prese di posizione, il giurista che
non abbia intenti meramente pratici o di didattica spicciola si trova, in ordine al tema
considerato, in una sorta di gabbia dalla quale non sembra in grado di uscire. Costretto
tra l’ancora enorme potenziale autoritativo del diritto romano e delle sue forme accusa-
torie e l’inevitabile riconoscimento di una assai diversa e stratificata realtà inquisitoria,
incapace di spostare in maniera sensibile i termini del problema, egli, quando non sor-
vola più o meno elegantemente sulla questione, si muove alla ricerca di un impossibile
compromesso tra forme processuali accusatorie che ha imparato a conoscere solo in via
teorica e pratiche giudiziarie che ne costituiscono l’assoluta negazione.
Ci si può domandare, a questo punto, se la dottrina giuridica del tardo diritto co-
mune sia mai riuscita a superare l’impasse ora accennata per imboccare una via final-
mente nuova e virtualmente produttiva. Per rispondere a tale quesito è necessario fare
un passo indietro nel tempo, e allargare all’intera Europa il panorama dell’indagine.
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