Page 33 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 3 – Il sistema consolidato: la testimonianza di Giulio Claro

Parzialmente differente è, sul punto, il discorso relativo al diritto canonico. Qui vi
sono due opinioni prevalenti che si fronteggiano: l’una ritiene che anche in quest’ambito
l’inquisitio sia rimedio straordinario; l’altra afferma invece che nel diritto canonico
l’inquisitio sia da considerarsi rimedio ordinario. Secondo Claro, è bensì vero che nel di-
ritto canonico il procedimento inquisitorio si presenta come regolarmente consentito
(«regulariter permissum»), ma poiché, sempre per il diritto canonico, non si deve osserva-
re nel giudizio d’inquisizione ciò che di regola si deve osservare nei giudizi criminali
(«illo iure non servantur in iudicio inquisitionis ea quae regulariter servare deberent in
iudiciis criminalibus»), in linea teorica non gli appare discutibile l’esattezza dell’opinione
comune secondo cui tanto nel diritto canonico quanto nel diritto civile il rimedio
dell’inquisizione si debba definire straordinario.
Tutto questo rileva peraltro – continua Claro – solo qualora ci si attenga strettamente
ai principi di diritto comune. Se si guarda invece alla concreta amministrazione della giu-
stizia, la situazione si presenta notevolmente differente. In effetti, alla tradizionale e for-
male impostazione «de iure communi» e alle potenziali conseguenze della stessa sul pia-
no pratico,4 il giurista alessandrino non esita a contrapporre con decisione le chiare risul-
tanze della prassi consuetudinaria che vige al suo tempo:

Ma certamente, qualunque sia la regola di diritto comune, tutte questo viene meno
grazie alla consuetudine del tempo presente; infatti, [oggi] anche secondo il diritto
civile in qualsiasi caso è consentito al giudice di procedere ex officio, e dunque
per via d’inquisizione («Sed certe quidquid sit de iure communi, haec omnia
cessant ex consuetudine praesentis temporis; nam etiam de iure civili in quocunque
casu permissum est iudici procedere ex officio, et sic per inquisitionem»).

Taluni tra i giuristi più concreti – Claro cita significativamente Alberto da Gandino – hanno
da tempo offerto significative testimonianze di questa generale consuetudine, affermatasi
del resto anche fuori d’Italia (per il Regno di Castiglia lo attesta il criminalista Antonio
Gomez). Sulla base di tale consuetudine, si deve senz’altro pervenire a una conclusione
totalmente contraria alla posizione ufficiale espressa dalla maggioranza della dottrina, e si
deve necessariamente riconoscere che non solo in diritto canonico ma anche in diritto civile

il rimedio dell’inquisizione è ordinario, come lo è quello dell’accusa («inquisitionis
remedium est ita ordinarium, prout est remedium accusationis»).




4 Secondo la regola generale prevista dal diritto comune, il rimedio ordinario fa sempre cessare quello
straordinario, e dunque l’accusatore idoneo dovrebbe sempre essere preferito al giudice inquisitore, come
del resto sostiene Alberto da Gandino. Altri autori (Claro cita Baldo ed Egidio Bossi) riferiscono di una
prassi, secondo la quale l’accusatio è preferita se offre argomenti più consistenti. In effetti – osserva il
giurista alessandrino – sulla questione vi è stata in dottrina grande varietà di opinioni, specialmente
quando l’accusatore si presenti a inquisizione già avviata. In genere si ricorre in argomento a una lunga
distinctio di Bartolomeo da Saliceto, ripresa da altri autori (tra i quali Egidio Bossi), secondo la quale è
necessario considerare se l’accusatore sia intervenuto prima o dopo la raccolta delle prove. Nel primo
caso, se il ritardo è imputabile a negligenza l’inquisitio non cessa, altrimenti viene preferita l’accusatio,
purché l’accusatore sia parte lesa e non sia sospetto di collusione. Nel secondo caso, l’accusatio è
ammessa solo quando in seguito all’inquisitio il reato risulti non provato.

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