Page 31 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 3
Il sistema consolidato: la testimonianza di Giulio Claro
3.1. Il modello processuale del maturo diritto comune e la criminalistica italiana
Come abbiamo visto nei casi di Gambiglioni e di Bossi, tra XV e XVI secolo la dottrina
criminalistica è sempre più condizionata, nella definizione del rapporto tra accusa e in-
quisizione, dal pieno riconoscimento delle nuove esigenze della repressione penale e
dal frequente ricorso alla ratio della publica utilitas in materia criminale, ne maleficia
remaneant impunita. A loro volta, tali nuove esigenze sono strettamente connesse al
ruolo sempre più incisivo svolto da giudici e funzionari pubblici nel momento in cui
inizia a delinearsi l’evoluzione in senso assolutista delle forme di organizzazione dei
regimi politici.
Nell’Europa del Cinquecento il progressivo accentramento del potere nelle mani
del sovrano e lo sviluppo degli apparati burocratici tendono infatti in materia di giusti-
zia penale – come vedremo meglio in seguito – a erodere i residui spazi lasciati
all’iniziativa e al ruolo processuale del singolo, a impedire il ricorso a schemi procedu-
rali di ispirazione civilistica, a bloccare forme popolari di giudizio e, quindi, ad accan-
tonare decisamente l’accusatio.
Su questo sfondo e in questo clima politico e culturale assistiamo alla definitiva
vittoria dell’inquisitio, e al conseguente consolidarsi del modello processuale proprio
del maturo diritto comune. La compiuta elaborazione di tale modello è dovuto in parti-
colare alla scuola italiana, la cui straordinaria fioritura tra Quattro e Cinquecento porta
non solo alla piena autonomia del penale nell’ambito della scienza giuridica (che si ma-
nifesta a livello accademico con la nascita delle prime cattedre criminalistiche, testimo-
ni anche del rilievo politico assunto dalla materia), ma anche alla definitiva maturazio-
ne di una dogmatica penale che per la sua alta qualità tecnica – e al di là dei mutevoli e
talora discutibili contenuti – sarà in grado non solo di giungere all’età della codificazione
ma anche di trasmettere a quest’ultima non poche delle sue costruzioni concettuali.
Oltre ai già citati Gambiglioni e Bossi, brillano in questo panorama – per citare so-
lo alcuni nomi – Ippolito Marsili (1450-1529), primo titolare di una cattedra di diritto
criminale a Bologna nel 1509, il venosino Roberto Maranta (1476-1534), il patavino
Marcantonio Bianchi (1498-1548), il calabrese Lodovico Careri (†1560), il napoletano
Pietro Follerio (1520 ca.-1586…), l’udinese Tiberio Deciani (sul quale torneremo in
seguito) e colui che forse è il rappresentante più emblematico del secolo d’oro della
criminalistica italiana, l’alessandrino Giulio Claro.