Page 27 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 2 – La diffusione del modello inquisitorio
«Haec est quedam inquisitio…» («Questa è una certa inquisizione…»): con queste
significative parole Gambiglioni intraprende una narrazione-trattazione nella quale, ri-
baltando i tradizionali schemi dottrinali, si preoccupa innanzitutto di descrivere istituti,
affrontare questioni e chiarire concetti propri di un metodo processuale che ormai si
caratterizza essenzialmente come procedimento d’ufficio («quod fit mero officio»). I
temi relativi alla forma processuale che ha inizio su richiesta della parte che accusa
(«ad partis accusantis petitionem») sono collocati in posizione complementare, unita-
mente a quelli relativi all’ulteriore forma processuale che viene instaurata su denuncia
di un pubblico ufficiale («ad denunciam et relationem officialis»).
Lo stesso Gambiglioni sente il bisogno di giustificare – talora in modo esplicito,
più spesso implicitamente – le scelte che lo hanno indotto a privilegiare l’inquisitio e a
centrare il discorso sul processo ex officio.
In primo luogo, il giurista prende atto degli sviluppi verificatisi a livello legislati-
vo: gli statuti delle città italiane ammettono pressoché nella loro totalità che per ogni
crimine si possa fare l’inquisizione («quod de omni crimine possit fieri inquisitio»). In
secondo luogo, Gambiglioni osserva come molti tra i principi sostenuti in passato dalla
dottrina non siano più considerati validi o non siano comunque più osservati. Gli anti-
chi scrittori («antiqui») solevano ripetere che l’inquisizione speciale (cioè quella fase
dell’inquisizione nella quale si procede nei confronti di una determinata persona per
dimostrarne la colpevolezza) de iure non è di regola permessa («regulariter de iure non
est permissa specialis inquisitio») se non in una serie di casi tassativamente elencati.
Già da tempo, però, si agisce diversamente, e per autorizzare la specialis inquisitio mol-
ti reputano ormai sufficiente la semplice pubblica fama. Nello stesso modo, Gambiglio-
ni contesta la massima tradizionale secondo la quale nessuno di regola può essere con-
dannato senza un accusatore («regulariter sine accusatore nemo potest damnari»), e af-
ferma al contrario che, come un privato può sempre accusare, così il giudice può sem-
pre inquisire («[iudex] potest semper inquirere, sicut quis accusare»). Se infatti è per-
messa l’accusatio per qualsiasi crimine, altrettanto deve accadere per l’inquisitio, che
ne ha preso il posto («quae succedit loco eius»).
Le asserzioni testé citate si ricollegano a una più generale propensione di Gambi-
glioni a voler attenuare, anche dal punto di vista concettuale, le differenze tra accusa e
inquisizione. L’autore tende infatti a privilegiare le affinità e a far risaltare le analogie
tra i due metodi, e mira a ricostituire un modello unitario, nel quale: a) il giudice si pos-
sa normalmente sostituire all’accusatore privato (eccetto che nella inscriptio ad poenam
talionis, preventiva garanzia contro le accuse calunniose e temerarie); b) l’atto di accu-
sa possa svolgere un ruolo – volta a volta simile a quello della querela della parte lesa o
della denuncia – in grado di accordarsi con le esigenze del procedimento ex officio.
Nell’opera di Gambiglioni, dunque, l’inquisitio non solo è considerata rimedio or-
dinario, ma assurge anche a struttura fondamentale e abituale del processo criminale.
Tale dato indica come la sistemazione dottrinale degli svolgimenti in atto da secoli nel-
la prassi e nella legislazione (in primo luogo statutaria) sia giunta a una fase ormai ma-
tura, ed è accompagnato da una esplicita presa di posizione (altrimenti rara in autori
spesso assai cauti sul punto) in ordine al rapporto tra accusa e inquisizione. Il giurista
aretino, infatti, valuta i meccanismi del processo principalmente in base alla loro effica-
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