Page 16 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale

funzione meramente arbitrale. In un medesimo contesto giurisdizionale accade che pro-
cedure di natura inquisitoria si svolgano parallelamente a processi accusatori. E anche
nel medesimo procedimento si possono alternare fasi ex officio e fasi caratterizzate
dall’iniziativa privata delle parti, dando così vita di frequente a vere e proprie forme
miste. A loro volta, i moduli accusatori (e spesso anche quelli inquisitori) si intrecciano
con forme transattive di giustizia quale la pace privata tra l’autore del delitto e la parte
offesa (anche perché, giova sottolinearlo, in molti casi l’avvio di una procedura accusa-
toria è finalizzata proprio a costringere all’accordo la controparte).
Su questo sfondo a più dimensioni, vi sono però alcuni significativi fenomeni che
si manifestano nella pratica giudiziaria con particolare evidenza, e che sono con altret-
tanta evidenza correlati tra loro come indizio del forte carattere di pubblicizzazione che
viene progressivamente impresso alla giustizia penale dalla metà del XIII secolo. Ne
segnaliamo alcuni:
a) il numero dei reati considerati di pubblica rilevanza e quindi perseguiti ex officio
aumenta in modo esponenziale;
b) cresce anche l’incidenza e la gravità delle pene irrogate nell’interesse pubblico;
c) vengono enfatizzati il ruolo inquirente del giudice e i suoi poteri discrezionali;
d) si sviluppano vigorosi mezzi d’indagine, tra i quali inizia ad assumere un ruolo
imbarazzante il ricorso alla tortura giudiziaria;
e) la pubblica fama, trapiantata dal diritto canonico, viene assunta come comunita-
rio mezzo di accusa a tutela del pubblico interesse.
Nel magmatico contesto testé accennato, le élites comunali «avvertono che la giu-
stizia penale è un decisivo mezzo di governo e che non ha senso lasciarla alla sola ini-
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ziativa delle vittime» . Parallelamente, e come criterio fondante dell’emersione di un
sistema penale pubblico, si fa strada tra i giuristi un principio che, se vanta indubbie
ascendenze romano-giustinianee (ad esempio in Dig., 9, 2, 51, 2: «cum neque impunita
maleficia esse oporteat»), in realtà è stato da poco codificato e reso effettivo proprio in
ambito canonistico (ad esempio nella decretale Ut famae del 1203: «publicae utilitatis
inter[est], ne crimina remaneant impunita»). Tale principio recita, nella sua formula più
diffusa: interest reipublicae ne crimina remaneant impunita (‘è pubblico interesse che i
crimini non rimangano impuniti’).
Al contempo conseguenza e causa della svolta inquisitoria iniziata nel Duecento,
questo principio costituirà per secoli il costante e più diffuso punto di riferimento del-
la dottrina penalistica non solo in Italia, ma in tutta l’Europa continentale. Per suo
tramite si affermerà l’idea «che chi commette un reato danneggia la sua vittima, ma
offende anche la respublica, la quale ha il diritto di soddisfarsi infliggendo una pe-
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na» alla quale si può eventualmente aggiungere il risarcimento dell’interesse privato
leso. Per attuare tale principio si potrà certo ‘costringere’ la parte offesa ad accusare
(come suggeriranno alcuni giuristi), ma il rimedio di gran lunga più efficace sarà in-
dividuato – anzitutto nella pratica dei tribunali – nell’azione ex officio del giudice
che, avuta notizia del commesso reato, assumerà anche le funzioni dell’accusatore e

3 Mario Sbriccoli, Giustizia criminale, in Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, a cura di
Maurizio Fioravanti, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 163-205, in particolare p. 167.
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Ivi, p. 168.
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