Page 19 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 1 – Interest reipublicae ne crimina remaneant impunita

l’accusa, di cui conserva alcuni caratteri (come il dovere di persistere e proseguire nella
denuncia), e l’inquisizione, cui – come attesta anche Guillaume Durand – per lo più dà
origine. La differenza fondamentale rispetto all’accusatio sta nel fatto che chi denuncia
non è sottoposto ai vincoli e agli oneri previsti per l’accusatore, a partire dalla presenta-
zione del libello accusatorio e dalla inscriptio ad poenam talionis, con la quale nel diritto
romano l’accusatore si impegna, come preventiva garanzia contro le accuse calunniose e
temerarie, a subire la pena del taglione, e cioè la stessa pena prevista per il reato oggetto
di un’accusa temeraria o calunniosa. Resta comunque il fatto – osserva Gandino – che
anche qualora si proceda per accusa la cosa più importante è che i crimini non restino
impuniti. Ed è per questo motivo che la consuetudine consente di evitare l’inscriptio:

secondo la consuetudine, non è necessario fare l’inscriptio; infatti, se fosse vero che si
la deve fare, si troverebbero pochi uomini disposti a obbligarsi alla pena del taglione
[…] poiché l’imputato può essere assolto […] e così per timore della pena del taglione
molti reati rimarrebbero impuniti, cosa che non deve essere («insciptionem de
consuetudinem non esse faciendam; nam, si hoc esset verum, quod deberent fieri,
pauci homines invenirentur, qui se vellent obligare ad penam talionis […] quoniam
possit reus absolvi […] et sic timore pene subscriptionis multa maleficia remanerent
impunita, quod esse non debent»).

Il procedimento per eccezione viene a sua volta utilizzato contro gli accusatori, i testimo-
ni e coloro che producono documenti falsi (o anche contro chi richieda di essere promos-
so a una determinata carica). Lo scopo dell’exceptio non è quello di imporre una pena
(infatti colui che eccepisce non accusa, e per principio generale se manca l’accusa non
può seguire la condanna), ma di rintuzzare accuse o mezzi di accusa al fine di evitare la
pena. In altre parole, serve solamente a impedire l’accusa (per la sua falsità o per la man-
canza di requisiti), a ricusare un teste e a confutare o depotenziare il valore di documenti
falsi o sospetti (ma anche a respingere chi voglia ottenere una determinata carica).
L’individuazione tipologica delle forme processuali si chiude – dopo un’ampia
indagine che si estende per ben otto rubriche del De maleficiis intesa prevalentemente a
individuare e discutere i concetti di pubblica fama (fama), fama negativa (infamia),
presunzione (presumptio) e indizio (indicium) – con l’esame dei caratteri di estrema
sommarietà che può assumere una quinta forma processuale, che si applica in caso di
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notorietà del crimine (crimen notorium).


8 Già nel proemio del De maleficiis Gandino precisa che cinque sono i modi per conoscere dei reati: «per
accusationem, denunciationem, inquisitionem, exceptionem et quando crimen est notorium». Questa
partizione tipologica delle forme processuali è esattamente sovrapponibile a quella delineata nella terza
parte dello Speculum iudiciale, ove Guillaume Durand illustra cinque modi di agire in giudizio in materia
criminale, e cioè «per accusationem» (e questo è il metodo regolare: «et hoc est regulare»), «per
denunciationem», «per inquisitionem», «excipiendo» e infine «extraordinarie» (quest’ultima forma
ricomprende il procedimento per crimen notorium). Abbiamo già notato che in ambito dottrinale la
rilevanza dell’inquisizione come modello processuale si manifesta dapprima in area canonistica:
l’inquisitio viene infatti per la prima volta equiparata agli altri modi legittimi per iniziare il processo
nell’Ordo iudiciarius del canonista Tancredi da Bologna (1216). In ambito di ius civile, verso la metà del
Duecento Martino da Fano (Fano 1190 ca. - Bologna post 1272) compone una Summula super materia
inquisitionum basata quasi esclusivamente su testi giustinianei (ma anche di diritto longobardo), nella

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