Page 14 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale

Del resto, anche la situazione di partenza della vicenda qui esaminata risulta
tutt’altro che omogenea. L’epoca altomedievale (che vede la prevalenza di forme accu-
satorie derivate dalla tradizione giuridica e dalla concezione dell’interesse e degli appa-
rati pubblici proprie dei popoli germanici) sviluppa un processo penale che si svolge,
segnatamente per i reati che colpiscono direttamente il singolo, secondo schemi del tut-
to analoghi a quelli del processo civile: l’attore cita in giudizio il convenuto al fine di
ottenere, grazie alla condanna, una soddisfazione di carattere prevalentemente patrimo-
niale. Spesso la controversia è decisa ricorrendo a istituti particolari quali l’ordalia, il
duello giudiziario, la composizione pecuniaria o la compurgatio, e cioè il giuramento
decisorio mediante il quale l’accusato, accompagnato da parenti e amici che giurano
con lui e sono perciò definiti compurgatores, nega la propria responsabilità Nondime-
no, quando vengano commessi reati la cui punizione appaia di immediato interesse
pubblico, le legislazioni longobarda e, in misura ancora maggiore, quella franca non
mancano di prevedere interventi riconducibili a una matrice inquisitoria, segnatamente
quando più salde appaiono le strutture pubbliche, e in particolare nei momenti di mag-
giore splendore dell’organizzazione statuale carolingia.
Mentre il modello altomedievale si riflette anche sulle procedure adottate dalle cor-
ti feudali, in Italia tra XI e XIII secolo il fiorire delle consuetudini e degli statuti comu-
nali conferma, in un primo tempo, un certo favore per i moduli accusatori e in genere
per le forme di giustizia a iniziativa e conduzione privata e/o di natura transattiva. In
seguito, con lo svilupparsi di una organizzazione politica sempre più complessa e con
l’assunzione da parte degli organismi municipali di funzioni giurisdizionali sempre più
ampie e precise, intese alla conservazione e alla salvaguardia della pace pubblica me-
diante la repressione dei reati di maggiore rilevanza per la pace sociale, la prassi e le
legislazioni cittadine tendono a modificare l’originario modello procedurale, riservando
spazi sempre più estesi all’inquisizione che, prima per casi singoli ed eccezionali, poi
come principio generale, diviene per il giudice comunale un preciso dovere d’ufficio,
sanzionato da apposite norme.
Nello stesso tratto di tempo, il sorgere e il prepotente affermarsi della Scuola della
Glossa e della nuova scienza del diritto si trova ad affrontare, per quanto riguarda le
fonti della disciplina processualpenalistica, un panorama divergente.
Da un lato, si colloca infatti un diritto romano-giustinianeo che, se non ignora isti-
tuti e strutture tipicamente inquisitori (basti pensare alla tortura giudiziaria), presenta
un ordinamento processuale penale informato per lo più a schemi accusatori. Il Corpus
Iuris Civilis, infatti, «seguita a considerare l’accusa come un istituto ancora vivissimo»
(Piero Fiorelli) e raccoglie in argomento numerosi frammenti giurisprudenziali e costi-
tuzioni sotto le rubriche De accusationibus et inscriptionibus del Digesto (Dig., 48, 2) e
Qui accusare non possunt del Codice (Cod., 9, 1), mentre dedica viceversa ai processi
svolti senza le formalità accusatorie («citra solemnia accusationum») solo cenni spora-
dici (Cod., 9, 2, 7). La rilevanza effettiva del sistema accusatorio nella tarda età impe-
riale e in epoca giustinianea era in realtà più modesta, e la sproporzione testé accennata
si spiega forse con il maggiore bisogno di definire esattamente l’attività del privato ac-
cusatore rispetto a quella del magistrato inquirente. Resta il fatto che la compilazione
giustinianea dimostra esteriormente un favore per il modello accusatorio che non manca


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