Page 147 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Appendice – La difesa tecnica nella storia del processo penale
altresì a un mutamento di spettro assai più ampio nelle stesse prospettive sociali e pro-
fessionali dell’avvocato penalista. In effetti, il momento centrale dell’impegno del pro-
fessionista si colloca ora in un ambito che ne enfatizza la visibilità anche al di fuori del
ristretto ambito degli addetti ai lavori, poiché le nuove norme sembrano insistere con
particolare cura sull’aspetto per così dire spettacolare del rito penale. L’avvocato è or-
mai un protagonista: agisce in pubblico, si colloca al centro di un emiciclo occupato dai
membri del collegio giudicante, veste la toga, parla a capo coperto, ma si scopre la testa
ogniqualvolta debba leggere un documento processuale o quando debba pronunciare
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l’arringa conclusiva.
La teatralità, l’eloquenza, le doti oratorie, ma anche le capacità di introspezione
psicologica e di costruzione logica del discorso sono dunque le doti da questo momento
richieste a un buon avvocato penalista, oltre naturalmente a una solida conoscenza non
più o non soltanto del dato giurisprudenziale ma, specialmente, del dato normativo, e
delle possibilità interpretative dello stesso. Sull’onda di queste profonde innovazioni
nascono le accademie di eloquenza forense, intese a perfezionare i penalisti in quello
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che è ormai divenuto un irrinunciabile strumento di lavoro. Nasce altresì una nuova
forma di letteratura giuridica, la raccolta di difese criminali, destinata a un duraturo
successo anche e specialmente al di fuori dei limiti talora angusti del mondo del diritto.
Nasce infine la stessa figura del principe del foro, che attira un folto pubblico di inten-
ditori alle sue orazioni, ricche di exploits dialettici e retorici, di citazioni, di riferimenti
di carattere genericamente culturale, ma anche – non dimentichiamo che egli parla, per
ora, a un collegio togato – attente e puntuali dal punto di vista tecnico-giuridico. Si
consolida così, nel giro di pochissimi anni, il prestigio di una professione profondamen-
te diversa rispetto al passato, che contribuisce a una nuova collocazione di tutta una
classe professionale alla quale proprio a decorrere da quegli anni (e il dato probabil-
mente non è casuale) viene progressivamente riconosciuta la facoltà di organizzarsi in
ordini più o meno autonomi.
A.5. Dalla Restaurazione all’epoca postunitaria: un secolo di dibattiti e polemiche
La Restaurazione non modifica in modo sensibile la situazione testé accennata, ma
anzi la consolida ulteriormente attraverso la nascita di strutture legislative e giurisdi-
zionali in gran parte ispirate ai modelli napoleonici, che favoriscono altresì la tra-
sformazione dell’intera classe forense in un vero e proprio serbatoio, come del resto
ben noto, della classe dirigente dell’Italia risorgimentale e postunitaria. L’unica ecce-
zione, in tale panorama, è costituita dal Regno Lombardo-Veneto, ove l’evoluzione
della professione subisce, quantomeno in materia penale, una battuta d’arresto fino
4 Tali sono le regole di comportamento previste nel Regno Italico dall’art. 56 del Decreto 9 agosto 1811,
«portante il Regolamento sulla disciplina degli avvocati». Norme analoghe sono presenti anche nelle
restanti legislazioni degli Stati napoleonici.
5 Ricordiamo, tra le più risalenti, l’Accademia estemporanea di eloquenza forense per esercizio della
gioventù legale, una vera e propria scuola di specializzazione fondata a Milano nel 1808 dal già ricordato
Giuseppe Marocco.
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