Page 150 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale


A.6. L’affievolimento del diritto di difesa nella codificazione del 1930
Dopo la meteora costituita dal controverso Codice di Procedura Penale del 1913 – che
peraltro non piacque agli avvocati poiché il testo, pur prevedendo talune aperture ad
esempio in tema di garanzie istruttorie, non era privo di innovazioni restrittive a loro
carico – il punto d’arrivo della fase avviatasi all’inizio dell’Ottocento è segnato in Italia
dal Codice di Procedura Penale del 1930, per il quale si ricorre di frequente alla deno-
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minazione di Codice Rocco. Questo codice conferma in pieno l’impianto misto eredi-
tato dall’esperienza napoleonica, ma ne accentua peraltro talune chiusure inquisitorie –
e la conseguente disparità tra accusa e difesa – con scelte che in taluni casi riportano la
difesa tecnica a un livello addirittura prenapoleonico.
Le istruttorie sono scritte e segrete. La preliminare è svolta dalla polizia. La som-
maria spetta a un pubblico ministero dotato di ampi poteri anche per quanto riguarda la
formazione delle prove e la libertà personale. La formale è affidata a un giudice istrut-
tore competente anche in ordine alla ricerca delle prove. In ogni caso, si rileva
un’ampia commistione di poteri giurisdizionali e di poteri investigativi, correlata a una
rigida esclusione dell’imputato e del suo difensore da ogni attività istruttoria. Tale
esclusione è a sua volta corredata dal divieto di colloquio tra patrocinante e patrocinato
fino alla conclusione degli interrogatori e dalla possibilità per l’avvocato di prendere
visione degli atti solo alla fine dell’istruzione (come accadeva nel processo penale di
diritto comune con la publicatio processus). La fase dibattimentale è formalmente orale
e pubblica, ma ammette un largo uso a fini decisori del materiale istruttorio e assegna
un ruolo decisivo al presidente della corte che, sulla base di una disciplina assai più re-
strittiva di quella prevista dal Codice Romagnosi del 1807, è il solo a poter interrogare
direttamente i testi (art. 448). I modi delle arringhe difensive sono disciplinati sulla ba-
se di criteri rigidamente riduttivi. I tempi sono contingentati. Il presidente può togliere
la parola non solo all’avvocato che superi il temine assegnato (art. 468), ma anche a chi
abusi (citiamo testualmente l’art. 470) «della facoltà di parlare, per prolissità, divaga-
zioni o in altro modo».
Al di là del testo del codice, peraltro, sono le relazioni ministeriali che accompa-
gnano i progetti e il testo definitivo del 1930 a tradire con tutta evidenza le connotazio-
ni anche ideologiche che stanno alla base della nuova disciplina. Una disciplina che
indubbiamente ha tra i propri obiettivi, nonostante la riaffermazione formale del carat-
tere «sacro e inviolabile» del diritto di difesa – come si legge nella Relazione ministe-
riale – l’affievolimento del ruolo e della rilevanza processuale del patrocinio tecnico.
Basterà citare, a tale proposito, un significativo e del resto ben noto passo tratto dalla
testé citata Relazione del Guardasigilli on. Alfredo Rocco al Progetto preliminare di un
nuovo Codice di procedura penale (1929), passo nel quale il guardasigilli annovera tra i



9 Come noto, nel 1930, quando la carica di Ministro Guardasigilli è ricoperta da Alfredo Rocco, vengono
promulgati sia il Codice Penale che il Codice di Procedura Penale. Nella redazione del primo svolge un
ruolo fondamentale il penalista Arturo Rocco, fratello del ministro; il secondo è opera del professore
patavino Vincenzo Manzini. Per entrambi i testi si utilizza comunemente la denominazione di ‘Codice
Rocco’.

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