Page 146 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
P. 146
Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale
napoleonico Code d’Instruction Criminelle del 1808. In Italia, peraltro, il modello tran-
salpino subisce una serie di importanti modificazioni e aggiustamenti, che ci autorizzano
a parlare di un vero e proprio processo penale bensì napoleonico, ma di matrice italiana.
Le più importanti tra tali modificazioni meritano di essere citate, in quanto non so-
no prive di conseguenze sullo svolgimento delle nuove funzioni assegnate alla difesa
tecnica, e anzi offrono alcuni preziosi strumenti atti a determinare le strategie proces-
suali dei professionisti chiamati da quel momento a gestire la difesa tecnica. Esse sono
individuabili nell’introduzione, accanto alla condanna e all’assoluzione, della terza
formula di giudizio detta del non liquet (alla lettera: non è chiaro) che in un secondo
tempo si evolverà nella assoluzione per insufficienza di prove, nella presenza di un
complesso e rigoroso sistema di nullità (pressoché assente in Francia, segnatamente nel
Code imperiale del 1808), nella mancanza della giuria popolare e nella conseguente
attribuzione del libero convincimento a magistrati togati. Una scelta, quest’ultima, che
alcuni anni più tardi sarà bollata da Giovanni Carmignani come «errore pestilenziale»,
in quanto destinata a porre nelle mani del giudice di mestiere un potere ritenuto total-
mente arbitrario e definito «arme terribile» dall’insigne penalista toscano.
Il testo che meglio di ogni altro interpreta il modello misto napoleonico di matrice
italiana è indubbiamente costituito dal Codice di Procedura Penale del Regno Italico del
1807, altrimenti noto – dal nome del suo prestigioso autore – come Codice Romagnosi.
3
Si tratta di un testo di straordinaria importanza poiché è da questo codice «capostipite»
e non dal Code francese del 1808 che prende le mosse l’intera vicenda moderna e con-
temporanea del processo penale in Italia, anche per quanto riguarda il ruolo attribuito
alla difesa tecnica.
Ed è proprio con riferimento alla disciplina contenuta negli articoli del Codice
Romagnosi che possiamo tentare di delineare brevemente il ruolo che l’avvocato pena-
lista viene assumendo in ambito processuale all’inizio dell’Ottocento, ruolo che poi
conserverà con poche modificazioni per circa un secolo e mezzo. I due capisaldi di tale
nuovo ruolo sono costituiti da un lato dalla totale assenza della difesa tecnica in fase
istruttoria, e dall’altro sulla sua non formale presenza in fase dibattimentale. La nomina
del difensore è resa ora obbligatoria, e se non viene effettuata dall’imputato si provvede
con la nomina di un difensore d’ufficio. Tale nomina avviene al momento
dell’interrogatorio formale dell’imputato svolto dal presidente della corte al momento di
fissare la data del dibattimento (art. 427). Da questo momento l’avvocato può comunica-
re con il suo assistito, prendere visione degli atti in cancelleria (art. 430) e presentare la
lista dei testi a difesa (art. 436). All’inizio del dibattimento viene ammonito a compor-
tarsi con lealtà e senza divagare (art. 450), in seguito interroga i testimoni tramite il
presidente (art. 456), discute i documenti e gli oggetti relativi al delitto e presentati in
aula (art. 474), risponde alle richieste del pubblico ministero e della parte civile, e ha
sempre il diritto di essere l’ultimo a parlare nell’interesse del suo assistito (art. 477).
L’irruzione sulla scena del rito criminale di una fase dibattimentale di regola in-
formata ai principi dell’oralità, della pubblicità e del contraddittorio non comporta pe-
raltro soltanto l’affermarsi dei caratteri tecnico-processuali testé descritti, ma conduce
3
Franco Cordero, Procedura penale, Milano, Giuffrè, 1985, p. 69.
136