Page 145 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Appendice – La difesa tecnica nella storia del processo penale
Il passaggio epocale che caratterizza l’età rivoluzionaria e napoleonica vede infatti
non solo il crollo delle complesse strutture giuridiche del diritto comune e la nascita dei
sistemi legali codificati ma anche il sorgere di una nuova figura di avvocato penalista e
di nuove forme di esercizio dell’avvocatura penale. Se volessimo riassumere in due pa-
role gli aspetti salienti di tale mutamento – che ha connotati quasi antropologici – po-
tremmo dire che il penalista nell’Italia del primo Ottocento cessa di scrivere e comincia
a parlare. Se infatti fino a quel momento la sua funzione si esauriva di regola, come
abbiamo visto, nella elaborazione di una più o meno articolata e approfondita memoria
scritta redatta nel momento immediatamente precedente la decisione della causa, nel
nuovo processo penale che scaturisce dalle esperienze rivoluzionarie e napoleoniche (e
che si suole definire ‘misto’) il suo ruolo si modifica profondamente e viene ridisegnato
in rapporto alla presenza di una fase dibattimentale che accoglie alcune almeno tra le
istanze garantiste propugnate dal pensiero prima illuminista e poi liberale.
In effetti, nell’arco di una quindicina d’anni – all’incirca dal 1797 al 1812 – in tutta
la penisola vengono progettati o entrano in vigore codici di rito ispirati al nuovo model-
lo misto, che vede la giustapposizione di due contrapposti momenti processuali: il pri-
mo, istruttorio, ha natura rigorosamente inquisitoria ed è dunque informato ai principi
dell’iniziativa ex officio, della scrittura e della segretezza; il secondo, dibattimentale,
risulta ispirato ai principi accusatori dell’oralità, della pubblicità e del contraddittorio.
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È noto come le origini di tale modello misto «a duplice arcata» risalgano alle scelte
operate dai legislatori transalpini dapprima con il rivoluzionario Code des Délits et des
Peines del 1795 e in seguito, ma con caratteri assai più autoritari e repressivi, con il
Lugano si iscrive alla Facoltà legale pavese, ove si laurea il 30 aprile 1796. Durante il triennio cisalpino
intraprende a Milano la professione forense e frequenta i circoli giacobini, pubblicando i suoi primi scritti
giuridico-politici. Nel 1799 viene arrestato dalla polizia austriaca ed è deportato nelle fortezze di Sebenico
e di Peterwarden. Liberato nella primavera del 1801, si dedica all’avvocatura. In breve consegue un
incontestabile primato tra i criminalisti del foro milanese, dimostrando di saper cogliere il mutamento
innescato, nella figura professionale e nella percezione sociale dell’avvocato penalista, dalle forme
procedurali introdotte dal codice Romagnosi del 1807 e in particolare dall’udienza dibattimentale ispirata a
principi di oralità e pubblicità. Questa «rivoluzione nell’arte di difendere gli accusati» (come egli scrive
nella prefazione alla raccolta delle sue Difese Criminali), che enfatizza la visibilità della difesa tecnica, lo
porta alla celebrità grazie alle sue arringhe, dirette ed efficaci nell’individuazione degli argomenti
difensivi e improntate a una non comune capacità di introspezione psicologica. Nel 1816 elabora i progetti
dei codici penale e di procedura penale del Cantone Ticino, entrati in vigore il 1° gennaio 1817, e per tale
motivo viene insignito della cittadinanza ticinese ad honorem. La reintroduzione nel Regno Lombardo-
Veneto del sistema inquisitorio, conseguente all’entrata in vigore del codice penale austriaco (1° gennaio
1816) e la costatazione che tale codice impone un rigido divieto di difesa tecnica inducono Marocco ad
abbandonare per protesta l’avvocatura. Tale decisione avvia un lungo periodo conflittuale con la censura e
la polizia asburgiche, durante il quale Marocco dà alle stampe la silloge delle sue arringhe e conferma in
alcuni vigorosi scritti i caratteri di indisponibilità ed assolutezza del diritto di difesa. Dispensato per chiara
fama dal sostenere il prescritto esame, nel 1819 è autorizzato all’insegnamento privato delle materie del
corso di laurea legale e continua nella produzione di scritti anticonformisti, bloccati dalla censura e
pubblicati postumi. Le 45 arringhe raccolte nelle Difese Criminali (Milano 1818), più volte ristampate,
fanno di Marocco un indiscusso maestro dell’arte forense e un punto di riferimento per l’avvocatura penale
dell’Ottocento. Nella sua restante produzione scientifica risaltano i contributi dedicati alla difesa tecnica e
in particolare la dissertazione Della necessità di un difensore nelle cause criminali qualunque sia la
processura penale (Milano 1816), nella quale si denuncia la totale iniquità di qualsiasi modello processuale
che non solo non ammetta o ponga ostacoli alla presenza della difesa tecnica ma che non preveda una netta
separazione tra le funzioni d’accusa e quelle di giudizio.
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Massimo Nobili, Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, Cedam, 1998, p. 140.
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