Page 128 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale
Come già accennato, Montesquieu – pur affermando che ove il diritto di accusa sia
concesso a chiunque, questa debba essere palese e nota all’accusato – sostiene che la
libera accusa si addice solo alle repubbliche democratiche in quanto nell’ambito di
forme di governo differenti, come la monarchia, essa comporta inconvenienti superiori
ai vantaggi. Filangieri, nel ribadire la propria ammirazione per il filosofo francese, si
chiede però
se questa sua opinione meritava di far tanti proseliti, quanti ne ha fatti. Io venero
gli errori stessi di questo grand’uomo; ma quando questi mi paiono perniciosi al
genere umano, io mi fo un dovere di rilevarli.
Il principio relativistico che commisura la bontà delle leggi al loro rapporto con le strut-
ture e i caratteri delle «nazioni» non ha infatti alcuna necessaria conseguenza sul piano
della libertà di accusa, in quanto quest’ultima deve essere inevitabilmente combinata
con la «massima difficoltà di calunniare». Sbaglia Montesquieu quando basa il sistema
accusatorio della repubblica sullo zelo (scarso o assente nelle monarchie) dei cittadini
per il bene pubblico: Greci e Romani fondarono il diritto di accusa su una serie di rigide
norme contro la calunnia, e non sul civico zelo, nel quale mostrarono di avere ben poca
fiducia. Né si deve confondere la monarchia con il dispotismo: nella prima le leggi esi-
stenti – comprese le norme che colpiscono le accuse calunniose – devono essere sempre
applicate, e non permettono quindi il sorgere delle delazioni, proprie dei regimi dispoti-
ci. Non ha dunque senso ritenere l’accusa utile nelle repubbliche e dannosa nelle mo-
narchie; essa conviene alle prime come alle seconde, e nelle prime come nelle seconde
non può fare a meno di combinarsi con una legislazione preventiva e repressiva della
calunnia. Solo il dispotismo può rendere nociva la libertà d’accusa (come del resto ogni
altro diritto o prerogativa che dipenda dalla cittadinanza) in quanto, riconducendo ogni
potere all’arbitrio del despota, permette il disconoscimento delle norme che proteggono
dalle accuse calunniose.
Filangieri esprime un articolato giudizio negativo anche in ordine all’istituto – rac-
comandato da Montesquieu – del «vengeur public», cioè del magistrato o funzionario
incaricato, nell’ambito di un modulo inquisitorio diffuso in Francia e in gran parte delle
monarchie europee, di perseguire i crimini in luogo degli accusatori privati. In primo
luogo questo «vendicatore pubblico» è nominato e dipende in tutto dal principe e, se è
vero che «l’interesse è il gran motore degli uomini», nessuno più di tale magistrato è
naturalmente portato a favorire il sovrano. In secondo luogo, il «vendicatore pubblico»
non può essere perseguito per calunnia «semplice» ma solo per calunnia «manifesta»
(che si verifica solo quando manchino, nei confronti dell’accusato, anche i più tenui
indizi). In terzo luogo, non si può negare che, rispetto al privato cittadino che goda del
diritto di accusare, il «vendicatore pubblico» abbia a sua disposizione mezzi molto più
efficaci e incontri ostacoli molto meno seri quando intenda commettere degli abusi.
Filangieri conclude la serrata critica ai moduli processuali del suo tempo con due
ulteriori osservazioni. La prima, decisiva per dimostrare la «stranezza» dei sistema, sot-
tolinea come alla libertà di accusare palesemente si sia sostituita la libertà di denunciare
occultamente, con gravi conseguenze sul piano della pace sociale e della «confidenza»
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