Page 107 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 10 – Accusa e inquisizione nella dottrina dell’Età dei Lumi

vero e che non vengono commesse falsità per errore, invidia, simulazione o per qualsiasi
altro disdicevole motivo («quacumque alia prava cupiditate»). Il giudice a sua volta non
deve cercare di indagare sul reato in qualsiasi modo («quacumque ratione»), ma solo
applicando scrupolosamente la legge («legitime») e tenendo ben distinto l’accertamento
del reato da quello della responsabilità, perché anche se il primo fosse certo, la seconda
potrebbe rimanere incerta («licet enim certum sit crimen, tamen adhuc esse potest incertus
reus»).
Nel complesso, Risi appare convinto che sia possibile riformare il sistema
dall’interno, secondo un’attitudine destinata in quegli anni a grande diffusione (la ve-
dremo all’opera, sul piano concreto, nel caso della Leopoldina in Toscana). A tale fine
egli richiama esplicitamente le idee di un autore che già conosciamo, Anton Matthaeus,
la cui proposta ‘accusatoria’ incontra in tutta Europa, alla fine del Settecento, un grande
successo come modello per una riforma penale ‘possibile’ e scevra da pericolose fughe
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in avanti di sapore radicale. Ispirandosi all’impostazione culta del maestro di Utrecht,
Risi propone in effetti di riportare lo stylus iudicandi a un razionale modello accusato-
rio di impianto romanistico, nel quale siano contemperate e soddisfatte tanto le esigen-
ze della prevenzione e della repressione penale quanto l’affermazione di alcuni almeno
dei principi garantisti che ormai si stanno facendo strada in maniera irresistibile nella
cultura dell’Età dei Lumi. Quello di Risi è dunque un riformismo sostanzialmente mo-
derato, e la sua è un’opera di oculata mediazione tra tradizione e innovazione.



10.5. La posizione di Luigi Cremani
E torniamo ora agli sviluppi del dibattito sulla forma del processo penale. Il 25 novem-
bre 1775 – a circa dieci anni dalla pubblicazione del Dei delitti e delle pene – Luigi
Cremani, novello professore di Istituzioni Criminali presso l’Università di Pavia, legge,
alla presenza delle autorità accademiche e degli studenti, una prolusione che viene data
alle stampe, sempre a Pavia, nella primavera seguente con il titolo di Oratio de varia
iurisprudentia criminali apud diversas gentes, eiusque caussis (Orazione sulla varietà
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della giurisprudenza criminale presso le diverse genti, e sulle sue cause).
La tesi fondamentale sviluppata nell’opuscolo è che le leggi penali variano con il
variare delle forme di governo, e che queste stesse leggi sono vicine alla perfezione


7 Come già segnalato, Tommaso Nani ripubblicherà a Pavia nel 1803 il De criminibus, adottandolo come
libro di testo per i suoi corsi universitari di diritto e procedura penale.
8 Luigi Cremani (Arezzo 1748 - Firenze 1838) si laurea a Pisa nel 1772, nel clima del moderato
illuminismo giusnaturalista propugnato da Leopoldo Guadagni e da Giovanni Maria Lampredi. Lettore
straordinario di diritto civile a Pisa, nel 1775 è chiamato a Pavia alla cattedra di Istituzioni Criminali.
Rimane a Pavia vent’anni (è rettore nel 1787) e a Pavia, al culmine di una prestigiosa carriera accademica,
pubblica tra il 1791 e il 1793 il suo contributo più importante, i De iure criminali libri tres (i Tre libri sul
diritto criminale), forse la più rilevante tra le opere di sistemazione dottrinale dell’intera materia penale
apparse nel delicato momento di transizione tra i sistemi giuridici d’Antico Regime e la moderna
codificazione. Nel 1796, all’arrivo delle armate rivoluzionarie francesi, si rifugia in Toscana, ove
collabora attivamente alla repressione antigiacobina. Ritiratosi a vita privata durante gli anni del dominio
napoleonico (1800-1814), con la Restaurazione è nominato presidente della Ruota Criminale di Firenze e
contribuisce ad avviare i lavori di codificazione penale nel Granducato di Toscana.

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