Page 106 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale

mune, che lo stesso Beccaria non esita a dipingere come un «complicato labirinto di
strani assurdi», aggiungendo – purtroppo smentito in più di un’occasione dalle vicende
della giustizia penale negli ultimi duecentocinquant’anni – che tali «assurdi» sarebbero
apparsi «incredibili senza dubbio alla più felice posterità».
Come Beccaria, anche Risi nelle Animadversiones del 1766 non prende esplicita-
mente posizione in ordine al dibattito sulla forma del processo penale, ma preferisce
condurre il suo discorso mettendo in evidenza alcuni snodi della procedura con tesi che
riflettono «l’aspirazione ad una giustizia penale rispettosa dei diritti e della dignità
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dell’inquisito», e che in larga parte coincidono con le ‘parole d’ordine’ in tema di pro-
cesso penale proclamate da Beccaria (e testé illustrate). Si tratta in particolare dei temi:
a) della presunzione d’innocenza (o meglio di non colpevolezza); b) del diritto di dife-
sa, del contraddittorio e della pubblicità; d) della terzietà del giudice. Anche in questo
caso dedichiamo a questi punti alcune brevi notazioni.
a) Presunzione di non colpevolezza. Sul tema la presa di posizione di Risi appare
meno diretta rispetto alla netta affermazione beccariana della presunzione di innocenza.
Nondimeno, il giudice milanese rileva, in tema di accertamento del corpus delicti, che
la necessaria certezza che sia stato commesso un reato non è di per sé sufficiente a pre-
sumere la colpevolezza della persona sospettata e indagata nell’inquisitio specialis,
poiché non è la semplice incriminazione a poter stabilire chi sia reo e chi no («criminis
cognitio, non criminatio ad reum cognoscendum perducit»). In altre parole, la colpevo-
lezza di un individuo si stabilisce dopo le dovute indagini e acquisizioni probatorie
(«criminis cognitio»), e non prima. Si tratta di un principio – continua Risi – per la cui
affermazione non è necessario richiamare l’autorità di questo o quel giurista, ma basta
appellarsi alla mera ragione umana («rationem testem appello»).
b) Diritto di difesa, contraddittorio e pubblicità. Risi si oppone con forza alla prassi
che ha da tempo ridotto la repetitio testium e la legitimatio processus a mere formalità,
e afferma di conseguenza l’assoluta necessità che i testimoni giurino e depongano non
in segreto ma pubblicamente alla presenza dell’imputato. Se infatti ciò accade nelle
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cause civili, tanto più deve avvenire «in criminalibus». L’accusatore o il Fisco devono
palesare le prove dell’accusa all’imputato; in particolare, i testimoni devono giurare e
deporre alla presenza dell’imputato («coram reo»), in modo che quest’ultimo possa in-
terloquire con loro. Solo in questo modo, pubblico e contraddittorio, l’imputato potrà e
dovrà considerare legittime le acquisizioni testimoniali.
c) Terzietà del giudice. In Risi questo principio si manifesta specialmente
attraverso l’affermazione che compito essenziale del giudice penale non è
l’individuazione e la condanna di un presunto colpevole ma la ricerca indifferente del
fatto. L’imputato deve essere persuaso che nulla gli è addebitato che non corrisponda al

lo rendono noto in tutta Europa. Nel 1776 accompagna con alcune Osservazioni la traduzione italiana
dell’opera di Joseph von Sonnenfels Su l’abolizione della tortura (Milano 1776).
5 Solimano, Paolo Risi, p. 514.
6 Nel linguaggio tecnico del maturo diritto comune il termine ‘Fisco’ viene comunemente impiegato, con
riferimento ai procedimenti penali, per designare sia la funzione di tutela degli interessi del sovrano e in
genere dello Stato sia gli organi che svolgono tale funzione. Abbiamo già accennato alla figura
dell’avvocato fiscale, funzionario che interviene nel procedimento svolgendo un ruolo talora assai
penetrante di sostegno dell’accusa.

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