Page 67 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Seneca, Mecenate e il ‘ritratto in movimento’ 55

questo colorito ritratto, così caricaturalmente ravvicinato e giustificare anche il titolo
del mio intervento nel quale parlo di ‘ritratto in movimento’.
Seneca dà l’avvio al ritratto di Mecenate con il particolare, apparentemente meno
rilevante, quello del camminare, dell’ambulare, scelta che si rivela però a mio parere
molto illuminante, perché denuncia la derivazione da una tradizione connaturata al mos
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romano, vale a dire l’osservazione di un personaggio nel suo procedere per le vie di
Roma, un elemento che sembra voler offrire non solo una valutazione dalla parte dei
cittadini, ma anche in qualche modo garantire, attraverso un consenso generalizzato,
una sorta di incontrovertibile pregiudizio, che si vuol far valere comunque come sicura
caratterizzazione etica. Non credo che sia da considerarsi casuale che anche nella sua
menippea il focus satirico di Seneca si incentri sulla grottesca passeggiata romana di
Claudio (apoc. 12,1-13,19), che, imperatore ‘scoronato’ in viaggio per gli Inferi viene
trascinato da Mercurio per la città capite obvoluto, mentre osserva il suo funerale e la
gioia del popolo: come commenta con grande acutezza il filosofo, omnes laeti, hilares:
populus Romanus ambulabat tanquam liber.
È come se l’occhio critico di chi scrive percorresse insieme ai lettori le vie di Roma,
consegnando all’immagine in movimento un primo abbozzo caratteriale, sul quale poi far
confluire un più articolato ritratto; tanto interessa a Seneca questo procedimento descrittivo
che, anche in seguito, dopo aver citato una ricca messe di passi di Mecenate che
testimoniano la sua aberrante e incontrollata eloquenza, Seneca afferma, icasticamente, al §
6 non statim cum haec legeris hoc tibi occurret, hunc esse qui solutis tunicis in urbe semper
incesserit: l’impatto fisico del personaggio Mecenate, identico ai suoi insignita verba,
sembra farsi incontro con un’incontrovertibile evidentia, nella sfacciata ostentazione
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dei suoi vitia etici esplicitati dall’abbigliamento eccentrico e discinto, cui corrisponde
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uno stile che mira solo a stupire, a concentrare l’attenzione su di sé, recando
l’inequivocabile marchio d’infamia della deriva etica del suo autore. Così intenderei

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Si occupa a fondo di questo punto di vista Bettini (2000, passim).
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Il tema della valutazione dell’individuo dal suo abbigliamento è naturalmente molto comune: non mi
sembra però che venga di solito addotta una testimonianza relativa a Catone, che già distingueva tra il
presentarsi in pubblico e l’abbigliarsi tra le pareti domestiche, secondo quanto leggiamo a proposito del
Carmen de moribus di Catone, in Gellio 11,2,6 praeterea ex eodem libro Catonis haec etiam sparsim et
intercise commeminimus: Vestiri – inquit – in foro honeste mos erat, domi quod satis erat. Quanto al mos
grecizzante, basti ricordare Liv. 29,19,11-12, dove Scipione viene aspramente criticato in senato, non tanto
per i fatti discussi (il comportamento nei confronti di Locri e dei Locresi), ma perché «gli si rinfacciava un
cultus non solo indegno di un generale romano, ma anche di qualsiasi militare» e credo non casualmente la
prima accusa era proprio formulata tenendo conto, oltre che dell’abbigliamento, del suo camminare in
pubblico (cum pallio crepidisque inambulare in gymnasio), atteggiamento capace poi di corrompere col
cattivo esempio tutto l’esercito (exercitum omnem licentia corruptum).
51 Interessante quanto osserva Cic. de orat. 2,358 sulla teoria delle imagines, che si imprimono meglio nella
memoria: imaginibus autem agentibus, acribus, insignitis, quae occurrere celeriterque percutere animum
possint; quam facultatem et exercitatio dabit, ex qua consuetudo gignitur, et similium verborum conversa et
immutata casibus aut traducta ex parte ad genus notatio et unius verbi imagine totius sententiae informatio
pictoris cuiusdam summi ratione et modo formarum varietate locos distinguentis. Forse ancora più pertinente
per la citazione di un abbigliamento ‘sfacciato’ e appariscente Rhet. Her. 3,37 imagines igitur nos in eo
genere constituere oportebit, quod genus in memoria diutissime potest haerere. Id accidet, si quam maxime
notatas similitudines constituemus […] si aliquas exornabimus, ut si coronis aut veste purpurea, quo nobis
notatior sit similitudo […] quo magis insignita sit forma, aut ridiculas res aliquas imaginibus adtribuamus:
nam ea res quoque faciet, ut facilius meminisse valeamus.


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