Page 63 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Seneca, Mecenate e il ‘ritratto in movimento’ 51

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essere avvicinata alla ventosa… loquacitas con la quale Encolpio stigmatizza la
vacuità etica delle declamazioni, che, non a caso, è descritta mentre riceve il colpo di
grazia dal soffio contaminante della retorica asiana, che appunto adflavit animos
iuvenum ad magna surgentes, dove abbiamo la stessa immagine del pestifero contagio
reso con l’adflatur in Seneca sul quale ci siamo prima soffermati. Nello stesso passo
petroniano leggiamo ac ne carmen quidem sani coloris enituit, unico altro luogo mi
pare oltre a Seneca epist. 114, dove incontriamo una simile elaborazione di metafore
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corporee, che rimandano al tema della ‘salute’ oratoria. E del resto è appena il caso di
menzionare il tema più generale del furor su cui si apre per noi il romanzo petroniano e
sul quale non manca di soffermarsi anche Seneca nello stesso contesto dell’epistola
114: leggiamo infatti al § 3 si furit aut, quod furori simile est, irascitur, turbatum esse
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corporis motum nec ire sed ferri?
Il processo di assimilazione tra linguaggio retorico e linguaggio del corpo mi sem-
bra denunciare, soprattutto a livello espressivo, non insignificanti analogie tra i due te-
sti e in particolare credo che nelle parole di Encolpio e Agamennone non sia infondato
presupporre una sottile, e raffinata, rielaborazione ancora una volta, se non proprio del-
le parole di Seneca, certo dello spirito del tempo: mi sembra, come dire, un’ulteriore
buona prova di quel gusto raffinato per la mimesi letteraria che non implica in ogni ca-
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so l’assunzione di precise posizioni teoriche personali, ma che rimanda a una legitti-
ma esigenza di rappresentabilità letteraria dei fenomeni retorico-linguistici.
Del resto il perentorio e sistematico annullamento della letteratura contemporanea da
parte di Seneca nell’epistola 114 sembra ricordare non solo il ragionamento portato
avanti da Petronio, attraverso Encolpio e Agamennone, ma anche la critica pervasiva e
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acre che svolge Persio nella prima satira, dove tutte le tendenze poetiche sono
accomunate in una polemica senza esclusione di colpi, cui corrisponde anche una
costante e incisiva presa d’atto di un uso distorto e depravato del corpo da parte dei
fruitori di un sistema letterario privo di ogni valenza etica. L’insofferenza di Persio per la
contemporanea letteratura insulsa e superficiale, di cui come Seneca cita letteralmente, e
non a caso, squarci significativi, si risolve spesso in termini di forte suggestione
evocativa, non quindi in un vero e proprio giudizio estetico codificato quanto nella
realistica descrizione disgustata di un atteggiamento o di un moto inopportuno del corpo

voluptati, artes quoque eius actusque marcent et omnis ex languido fluidoque conatus est e Petron. 55,6, v. 1
luxuriae rictu Martis marcent moenia), su furor e frugalitas (vd. infra); sui rapporti fra la figura di Mecenate
in Seneca e il Trimalchione di Petronio, si veda la conclusione del nostro contributo.
28 Cfr. Barnes (1973, p. 787 n. 3).
29 Vd. anche Petron. 118,5 praeterea curandum est in carminibus faciendis, ne sententiae emineant extra
corpus orationis expressae, sed intexto vestibus colore niteant.
30 Se l’ideale espresso in positivo da Seneca si potesse identificare con un termine, forse questo sembrerebbe
essere costituito da quella frugalitas orationis di cui parlava Macrobio e che potrebbe quindi anche essere non
lontana dalla frugalitas evocata nei versi pronunciati nello stesso contesto petroniano da Agamennone, se
accettiamo l’acuta interpretazione avanzata da Gianna Petrone in un recente contributo (Petrone, 2007, p. 99):
5, vv. 1-3 artis severae si quis ambit effectus / mentemque magnis applicat, prius mores / frugalitatis lege
poliat exacta.
31 Faccio mie le giuste considerazioni di Soverini (1985, p. 1736 ss.).
32 Vd. anche l’uso dialogico di quaeris in Pers. 1,78 ss. his pueris monitus patres infundere lippos / cum
videas, quaerisne unde haec sartago loquendi / venerit in linguas, unde istuc dedecus in quo / trossulus
exultat tibi per subsellia levis?


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