Page 72 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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60 Rita Degl’Innocenti Pierini

faceva le veci di Augusto, e che rimaneva identico anche quando infuriava la guerra
civile e la città era sollicita e armata.
La reazione indignata dello stoico Seneca mi sembra trovare una valida motivazione
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nel rifiuto di accettare un modello comportamentale compromissorio, ‘misto’, teso a
evidenziare la duplice natura del suo agire, come una frattura ‘positiva’ tra pubblico e
privato, come un arricchimento e un valore, come è dimostrato per esempio dal ritratto di
Mecenate in Velleio Patercolo 2,88,2, dove viene messa in luce l’evidente ‘duplicità’
della sua natura (simul vero ne è la spia linguistica), sottolineata dalla mancanza
d’ambizione; non si tace della sua mollitia, ma si evidenzia nello stesso tempo la sua
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capacità di adempiere a compiti impegnativi con la tempra degna di un soldato: è
insomma un ritratto paradossale, come ci ha insegnato a chiamarlo La Penna in un suo
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ancora validissimo studio. Ma aldilà della constatazione di La Penna, che faccio mia,
che sono i consiglieri dei principi negli storici imperiali ad essere caratterizzati in
misura maggiore da questo paradosso esistenziale, che li vede oscillare tra rigore e
mollezza, preme osservare che è sicuramente una tipologia etica diffusa nella realtà
romana imperiale ed è a questo che io credo che Seneca voglia vigorosamente reagire,
negando che si possa scindere pubblico e privato, che sia possibile ammettere un
modello etico compromissorio anche per chi svolga funzioni di potere, come dimostra
bene nel De clementia per la figura imperiale e nell’Ad Polybium per i funzionari
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imperiali. La compattezza e unicità, che deve essere alla base dell’individuo per uno
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stoico, è resa nell’epistola 114, 6 dalla martellante anafora, riferita a Mecenate, di
hunc esse qui / cui, che mi sembra indicare e voler sottolineare l’unicità della persona e
costituire una chiara, anche se implicita, risposta di Seneca ai ritratti paradossali
caratterizzati, anche formalmente, da continue capziose distinzioni tra atteggiamento
pubblico (per Mecenate si insiste nel medesimo contesto parlando di in omni publico coetu
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e in publico) e privato, come leggiamo per il Mecenate di Velleio Patercolo o come sarà
poi per il Petronio di Tacito (ann. 16,18 ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam
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sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur).

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Con questo non voglio negare che possa sussistere anche un fondamento critico di natura filosofica contro
l’epicureismo di Mecenate (e Setaioli [2000, p. 255 ss.] ha ben dimostrato che critiche simili venivano rivolte
a Epicuro), ma in questo contesto mi sembra che Seneca superi il mero dato filosofico per allargare la sua
polemica a tutto il comportamento pubblico.
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Vell. 2,88,2 erat tunc urbis custodiis praepositus C. Maecenas equestri, sed splendido genere natus, vir,
ubi res vigiliam exigeret, sane ex omnis, providens atque agendi sciens, simul vero aliquid ex negotio remitti
posset, otio ac mollitiis paene ultra feminam fluens, non minus Agrippa Caesari carus, sed minus honoratus
(quippe vixit angusti clavi plene contentus), nec minora consequi potuit, sed non tam concupivit.
76 La Penna (1978, p. 205); importanti considerazioni anche in La Penna (1991).
77 Vd. Degl’Innocenti Pierini (1990, p. 225 ss.; 1999, p. 115 ss., e ora anche 2012, p. 222 s.).
78 Mi limito a citare Sen. epist. 113,4 ss.; e soprattutto 122,17 non debes admirari si tantas invenis vitiorum
proprietates: varia sunt, innumerabiles habent facies, conprendi eorum genera non possunt. Simplex recti
cura est, multiplex praui, et quantumvis novas declinationes capit. Idem moribus evenit: naturam sequentium
faciles sunt, soluti sunt, exiguas differentias habent; (his) distorti plurimum et omnibus et interse dissident.
79 Il moralista Seneca sembrerebbe quindi rigettare anche lo stile di vita del discincti ludere che, sul modello
di Lucilio, aveva costituito un punto fermo dell’etica oraziana nel rapporto con i potenti amici, ma in Orazio è
opportuno notare che riguarda solo la sfera ‘privata’: vd. Hor. serm. 2,1,71 ss. quin ubi se a volgo et scaena in
secreta remorant / virtus Scipiadae et mitis sapientia Laeli, / nugari cum illo et discincti ludere, donec /
decoqueretur holus, soliti.
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Sul tema della simplicitas di Mecenate, cfr. supra, n. 45.

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