Page 60 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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48 Rita Degl’Innocenti Pierini

La voluta ambiguità tra aspetto esteriore e caratteristiche dell’animus è evidenziata
dall’uso molto pertinente di color, termine abusato nella critica letteraria e nella
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retorica, ma qui risemantizzato con un valore vicino a quello proprio, per indicare la
compattezza dell’individuo, dotato di animus e di ingenium, e sottolineata dall’anafora
di alius; non è un caso che il primo aggettivo attribuito all’animus, e al suo color, sia
sanus, che arieggia volutamente il linguaggio medico, giacché, come leggiamo in
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Celso, anche il colorito serve talvolta a stabilire immediatamente una diagnosi clinica.
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Il contagio dell’animus sulla funzione espressiva si presenta come qualcosa di
ineluttabile ed è reso attraverso l’immagine molto pregnante e incisiva del soffio
contaminante, del respiro malato che corrompe: adflatur.
Del resto nella conclusione della stessa lettera 114, o forse meglio la potremmo
definire perorazione, si recupera proprio quest’immagine, chiarendo che la sanitas mentis
e orationis consiste nel valutare attentamente se stessi, nel soppesare e moderare le
esigenze del corpo ed è quindi sul metro di un ideale solo, e soltanto, etico, che si misura
anche il valore letterario: § 27 sani erimus et modica concupiscemus si unusquisque se
numeret, metiatur simul corpus, sciat quam nec multum capere nec diu possit. Ritornano
qui i temi implicitamente evocati all’inizio della lettera secondo una tecnica anulare di
composizione, non infrequente nel nostro falsamente inlaboratus epistolografo: ce
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l’hanno del resto ben indicato da tempo gli studi di Mazzoli e Setaioli come non sia
possibile anche in materia retorico-letteraria imbrigliare in un sistema coerente e
compatto le affermazioni senecane, tanto più quando le riflessioni sullo stile scaturiscono
dal corto circuito costante che il moralista Seneca innesca con l’osservazione critica della
realtà contemporanea.
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La salute dell’animus è resa dalla triade di aggettivi compositus, gravis, temperans,
dove la prima qualità rimanda a un ordine morale percepibile anche a prima vista come un
equilibrio raggiunto nel difficile controllo di sé, nella composta accettazione dei propri
limiti: come leggiamo in epist. 2,1 primum argumentum compositae mentis existimo posse
consistere et secum morari, quindi una regola etica che arriva a sovrintendere alla
composizione letteraria, e che nello stesso tempo rimanda immediatamente anche a una
visualizzazione corporea, che reifica il concetto astratto, suggerendo un atteggiamento
esterno composto, decoroso e quindi degno di un prudens vir, che, come leggiamo
nell’epist. 66,5, deve essere caratterizzato da modestus incessus, da compositus e probus

12 Basterà citare Hor. ars 86; Sen. contr. 10, praef. 5; Sen. epist. 100,12.
13 3,24,17 color autem eum morbum detegit, maxime oculorum, in quibus, quod album esse debet, fit luteum.
14 Un paragone interessante leggiamo in Sen. ben. 5,12,6 quemadmodum stomachus morbo vitiatus et
colligens bilem, quoscumque accepit cibos, mutat et omne alimentum in causam doloris trahit, ita animus
scaevus, quidquid illi conmiseris, id onus suum et perniciem et occasionem miseriae facit.
15 Vd. Mazzoli (1970, passim). In effetti Seneca non ci spiega poi come debba essere lo stile e osserva
giustamente Setaioli (2000, p. 172) che nella sua trattazione si ha l’impressione che Seneca più che sviluppare
con logica coerenza le intuizioni tenda a risolvere volta per volta provvisoriamente le singole questioni.
16 Cfr. Sen. contr. 2, praef. 2 iam videlicet compositus et pacatus animus (scil. oratoris); Sen. epist. 4,1 frui
emendato animo et composito; 40,2 Hoc non probo in philosopho, cuius pronuntiatio quoque, sicut vita,
debet esse composita; nihil autem ordinatum est quod praecipitatur et properat; 94,60 compositae mentis
habitum et sanitatem.
17 Nell’ultimo termine della triade temperans si sottende forse anche un probabile implicito riferimento alla
virtus tradizionale romana dell’essere frugi, della saggezza come frugalitas, come mi sembra si possa
evincere dal confronto con Cic. Tusc. 3,8.


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