Page 22 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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scenza di sé può permettere di divenire migliori e di agire efficacemente in aiuto degli
altri, nel momento presente come nel futuro. Come Traina giustamente suggerisce, il
linguaggio di Seneca ondeggia continuamente tra il mondo interiore e quello esteriore.
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L’autoesame e l’autotrasformazione procedono di pari passo; e in effetti il concetto di
autotrasformazione riceve la propria formulazione più efficace proprio in rapporto a
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quest’idea: intellego, Lucili, non emendari me tantum, sed transfigurari. Questo ver-
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bo, la resa latina del greco ǖǏǞNjǝǡǑǖNjǞʐǐǏǝǒNjǓ, è seguito in questo contesto da altre
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espressioni implicanti mutamento e miglioramento, come pure dall’onnipresente me-
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tafora medica. In questo stadio, tuttavia, il processo è lungi dall’essersi concluso: Se-
neca è cambiato, ma è ancora distante dalla meta; è consapevole del fatto che molto in
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lui va ancora cambiato. L’esame di coscienza può andare oltre l’effetto immediato di
aprire gli occhi al proficiens e iniziare di fatto la sua trasformazione, ma non può conside-
rarsi sufficiente a condurla a conclusione.
Un esercizio implicante l’uso dell’immaginazione consiste nel rappresentarsi la pre-
senza di una figura eticamente irreprensibile e universalmente rispettata come testimone
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invisibile di ogni nostra azione. Ciò presuppone ovviamente che il proficiens è ancora
lontano dall’essere capace di agire moralmente in maniera autonoma; dovrà ancora pro-
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gredire sulla via della salute spirituale prima di poter fare a meno di un simile tutore.
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Tra gli esercizi richiedenti un comportamento pratico, quello forse più caratteri-
stico è la simulazione di una situazione indesiderabile che chi non ha perfettamente as-
similato la dottrina stoica teme e considera erroneamente come un male: la povertà. Si
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trattava di un tipo di ascetismo che al tempo di Seneca aveva perduto molto del suo
significato originale, fino a diventare una forma di ostentazione snobistica, come egli
77 Epist. 28,8 ‘initium est salutis notitia peccati’. Egregie mihi hoc dixisse videtur Epicurus; nam qui peccare
se nescit corrigi non vult; deprehendas te oportet antequam emendes. Cfr. Setaioli (1988, pp. 220-221), per la
sfumatura tipicamente senecana che la sentenza di Epicuro acquista in questo contesto.
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Cfr. Edwards (1997, p. 31). Vd. Traina (1974, p. 41), per il linguaggio senecano ‘dell’interiorità’ e ‘della
predicazione’.
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Epist. 6,1.
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Cfr. Bickel (1957); inoltre i chiarimenti e le osservazioni sul termine greco e l’uso senecano di
transfigurare in Setaioli (1988, pp. 283-285).
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Epist. 6,1 hoc ipsum argumentum est in melius translati animi quod vitia sua quae adhuc ignorabat videt…
2 cuperem itaque tecum communicare tam subitam mutationem mei.
82 Epist. 6,1 quibusdam aegris gratulatio fit cum ipsi aegros se esse senserunt.
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Epist. 6,1 nec hoc promitto aut spero, nihil in me superesse quod mutandum sit. Può essere interessante, dal
punto di vista linguistico, confrontare questo contesto (epist. 6.1 intellego… me… transfigurari) con epist.
94,48 nondum sapiens est nisi in ea quae didicit animus eius transfiguratus est (riferendo il pensiero di
Aristone). Mentre transfigurari è un infectum, che descrive un processo ancora in corso, transfiguratus est è
un perfectum, indicante che il processo si è concluso, vale a dire che la meta è stata raggiunta.
84 Seneca prende a prestito anche questa idea da Epicuro: epist. 11,8; 25,5-6. Cfr. Setaioli (1988, pp. 195-
196); per gli adattamenti romani di Seneca cfr. Setaioli (2003, pp. 60-61). Vd. anche epist. 104,21-22. In
epist. 32,1 Seneca propone se stesso in qualità di testimone invisibile delle azioni di Lucilio (come Epicuro –
e Zenone – avevano fatto prima di lui).
85 Epist. 25,6 cum iam profeceris tantum ut sit tibi etiam tui reverentia, licebit dimittas paedadgogum.
86 Per altri tipi di esercizi pratici vd. sopra (note 68-70).
87 Seneca aveva adottato diverse pratiche ascetiche, tra cui il vegetarismo, nell’entusiasmo della sua
conversione giovanile al pitagorismo, ma, come ci fa sapere lui stesso, ne aveva conservate solo alcune: epist.
108,15-16; Cfr. 53,3; 83,5; 92,25. Per il l’importanza e il significato dell’askƝsis nel mondo antico vd. la
bibliografia citata da Allegri (2004, p. 13 n. 1).