Page 17 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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La filosofia come terapia, autotrasformazione e stile di vita in Seneca 5

Seneca è dunque convinto che ogni uomo è stato dotato dalla natura dei mezzi per rag-
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giungere la saggezza, anche se molto pochi riusciranno effettivamente ad arrivare alla me-
ta. Il saggio stoico non è un mito: sebbene assai di rado, egli ha fatto tuttavia la sua compar-
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sa sulla terra, e tornerà ad apparire. Certo, ciò avverrà solo una volta in parecchi secoli;
perciò, in pratica, il processo di autotrasformazione promosso da Seneca si ridurrà a una
specie di etica di secondo grado che non andrà al di là dei ǔNjǒʎǔǙǗǞNj, vale a dire del ‘con-
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veniente’, come questo concetto era stato definito da Panezio. Ma Seneca non perde mai
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di vista l’ideale della saggezza perfetta. Ciò che egli predica è il sapientiae studium, la
ricerca della saggezza. La felicità si ottiene solo col raggiungimento di questa, ma anche
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solo cercare di raggiungerla rende la vita tollerabile. Pertanto, sebbene la terapia
dell’anima non si rivolga per definizione ai sapientes, l’ideale della saggezza perfetta reste-
rà costantemente sullo sfondo.
Non possediamo alcuno scritto di Seneca dedicato a qualcuno che non si sia già ‘con-
vertito’ e persuaso a sottomettersi alla sua terapia, a impegnarsi cioè a iniziare il lungo
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viaggio verso la saggezza stoica. Seneca afferma sì che è dovere del terapeuta cercare di
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curare anche casi apparentemente disperati prima di rinunciare; ma generalmente la sua
opera si rivolge a persone che, come lui stesso, si sforzano di progredire verso la virtù e la
saggezza, vale a dire ai ǚǛǙǔʒǚǞǙǗǞǏǜ di Panezio, o, come egli li chiama, ai proficientes.
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Questi possono collocarsi a livelli diversi di progresso etico, ma non dobbiamo ritenere
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che al di sotto del saggio stoico ci sia solo il vuoto.

34 Epist. 31,9 (natura) dedit tibi illa quae si non deserueris, par deo surges; 49,11 rationem… imperfectam,
sed quae perfici posset; 76,10 quid est in homine proprium? Ratio: haec recta et consummata felicitatem
hominis implevit… Si hanc perfecit laudabilis est et finem naturae suae tetigit; 92,27 ratio vero dis
hominibusque communis est: haec in illis consummata est, in nobis consummabilis; 92,30 capax est noster
animus, perfertur illo si vitia non deprimant. Per Seneca la possibilità dell’uomo di raggiungere la saggezza è
garantita dalla sua origine celeste. Cfr. Setaioli (2005-2006, pp. 363-364).
35 Const. 7,1 non fingimus istud humani ingenii vanum decus nec ingentem imaginem falsae rei concipimus, sed
qualem conformamus exhibuimus, exhibebimus, raro forsitan magnisque aetatium intervallis unum. Cfr. 2,1.
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Epist. 42,1 scis quem nunc virum bonum dicam? Hunc secundae notae; nam ille alter fortasse tamquam
phoenix semel anno quingentesimo nascitur. Per l’influenza di Panezio su Seneca cfr. Setaioli (2000, pp. 130-
139; 165-168; 180-182; 187-191).
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Per l’importanza della figura del sapiens in Seneca vd. per es. Ganss (1951).
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Epist. 16,1 liquere hoc tibi, Lucili, scio, neminem posse beate vivere sine sapientiae studio, et beatam vitam
perfecta sapientia effici, ceterum tolerabilem etiam inchoata. Cfr. Hengelbrock (2000, pp. 103-111), che
tuttavia ha torto quando afferma che Seneca è incoerente nell’abbinare la saggezza perfetta e l’esortazione al
progresso morale. Un errore simile in Rist (1989, p. 2012): «at times he verges on optimistic heterodoxy, for
the possibility of being a sage is less remote for the practical Seneca than for his Greek masters». In realtà,
anche Cleante e Crisippo ritenevano che la virtù fosse insegnabile (SVF II 567; III 223).
39 Ricorderemo brevemente più avanti le supposte tendenze epicuree di Lucilio, almeno all’inizio della
corrispondenza (cfr. oltre, nota 48). Ciò che importa qui è l’orgoglio di Seneca per il progresso morale
compiuto da Lucilio sotto la sua direzione (epist. 34,2).
40 Epist. 29,3 certum petat, eligat profecturos, ab iis quos desperavit recedat, non tamen cito relinquat et in
ipsa desperatione extrema remedia temptet. Cfr. 50,6. Seneca riconosce, comunque, che in certi casi nessuna
terapia può avere successo: epist. 94,24 e 31; clem. 1,2,2; de ot. 3,3.
41 Cfr. la nota seguente. In epist. 25,1 Seneca dice di due amici: alterius vitia emendanda, alterius frangenda
sunt. Ma qui, ancora una volta, riafferma che uno sforzo va fatto anche in casi apparentemente disperati:
epist. 25,2 nec desperaveris etiam diutinos aegros posse sanari; 25,3 inpendam huic rei dies et utrum possit
aliquid agi an non experiar. In alcuni casi il proficiens può avere già compiuto notevoli progressi, come
Sereno, il dedicatario del De tranquillitate animi.
42 Epist. 75,8 ‘quid ergo? Infra illum nulli gradus sunt? Statim a sapientia praeceps est?’ Non, ut existimo.
Seneca continua distinguendo tre tipi di proficientes (epist. 75,8-18). Cfr. anche epist. 52,3-7.


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