Page 25 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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La filosofia come terapia, autotrasformazione e stile di vita in Seneca 13
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latino ai membri della sua classe sociale; il suo insegnamento, pertanto, era istituzio-
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nalmente affidato alla parola scritta. Forse proprio come una replica al mito platoni-
co, Seneca insiste sulla superiorità di quest’ultima sull’insegnamento orale: la scrittura
(nella fattispecie la sua scrittura epistolare) non permette, è vero, di offrire consigli spe-
cifici per la situazione immediata, ma è il veicolo più appropriato per un insegnamento
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universale, valido sempre e per tutti, compresa la posterità – che, come Seneca af-
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ferma a più riprese, è in ultima analisi il suo vero destinatario.
A mano a mano che Lucilio progredisce sotto la guida di Seneca, comincia anche
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lui a favorire il progresso morale di quest’ultimo. Di conseguenza, non è più esclusi-
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vamente il destinatario delle opere di Seneca: con ogni probabilità non è un caso che
due epistole consecutive rappresentino lo scambio di opere filosofiche scritte da loro
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stessi che ciascuno dei due invia all’altro. La lettura e la scrittura non solo promuo-
vono la meditatio, ma possono essere annoverate tra gli esercizi che ci aiutano ad avan-
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zare nel lungo cammino verso la saggezza.
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Ma la lettura ha un ruolo in più di uno stadio della terapia senecana. Un’ap-
plicazione che compare proprio all’inizio della raccolta delle Epistulae morales rientra
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in effetti perfettamente nella cornice della meditatio. La lettera 2 sottolinea la funzio-
ne della lettura come nutrimento spirituale, ma ne restringe l’ambito a pochi autori affi-
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dabili da leggere e rileggere, allo scopo di distillarne alcuni pensieri selezionati, da
assimilare alla maniera della meditatio. Alla fine della lettera Seneca offre a Lucilio,
107 L’intera epistola 40 è indicativa per quanto riguarda l’atteggiamento di Seneca verso le conferenze
filosofiche in greco. Cfr. Setaioli (1988, pp. 14-15).
108 Epist. 33,9 quid est quare audiam quod legere possum? ‘Multum’ inquit ‘viva vox facit’. Non quidem haec
quae alienis verbis commodatur et actuari vice fungitur. Ciò, naturalmente, va preso cum grano salis: cfr.
epist. 6,5-6. In epist. 33, tuttavia, assistiamo a un preciso rovesciamento della posizione di epist. 6. Come
vedremo, l’epistola 33 raccomanda la lettura di opere filosofiche nella loro integrità – una posizione ben
diversa da quella di epist. 6,5 mittam itaque ipsos tibi libros, et ne multum operae inpendas dum passim
profutura sectaris, inponam notas, ut ad ipsa quae probo et miror accedas. L’epistola 33 segna ovviamente
uno stadio più avanzato. Cfr. epist. 39,1.
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Epist. 22,1-2.
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Epist. 8,2; 21,5; 22,2; 64,7. Cfr. 79,17.
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Epist. 34,2.
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Come è il caso per tre delle opere conservate: Epistulae morales, De providentia, Naturales quaestiones.
Vd. anche epist. 106,1-3; 108,1.
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In epist. 45 Seneca manda a Lucilio dei libri, alcuni dei quali scritti da lui stesso (45,3 libros meos); in ep.
46 riceve un libro di Lucilio. Il contenuto è sicuramente filosofico (46,2 fecit aliquid et materia: cfr. epist.
75,3; tranq. an. 1,14).
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Cfr. per es. epist. 89,23 haec aliis dic, ut dum dicis audias ipse, scribe ut dum scribis legas. È interessante
che Lucilio, destinatario dell’admonitio di Seneca, venga a sua volta esortato a rivolgere ad altri admonitio
scritta e orale allo scopo di favorire il loro progresso morale. Nessuna meraviglia che Seneca non abbandoni
mai le tavolette per scrivere (epist. 87,3) e affermi (epist. 82,3) che otium sine litteris mors est et hominis vivi
sepultura. Vd. oltre, nota 132, per il topos della mortua vita.
115 L’affermazione estremistica di epist. 88,32 quid est autem, quare existimem non futurum sapientem eum,
qui litteras nescit, cum sapientia non sit in litteris?, che trova non sorprendenti paralleli in posizioni ciniche
(Antistene: Diog. L. 6,103; cfr. Stückelberger [1965, p. 132]), va vista nel contesto della lettera. Cfr. Setaioli
(1988, pp. 316-322).
116 Vedi le analisi di von Albrecht (2004, pp. 24-33) e Graver (1996, pp. 125-131).
117 I pericoli della lettura incontrollata vengono messi in evidenza anche altrove: per es. epist. 45,1; 88,36-40;
89,11; tranq. an. 9,4-6; brev. vit. 13,1-7; e epist. 106,11, il celebre non vitae sed scholae discimus. Epist.
108,24-34 tratteggia approcci diversi alla lettura di un testo. Il solo valido è quello del ‘filosofo’, che legge
allo scopo di progredire moralmente.