Page 20 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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8 Aldo Setaioli
Mentre l’admonitio può essere rivolta contro tutte le passioni, la meditatio ha fon-
damentalmente lo scopo di vincere la paura – essa stessa una delle principali passioni
distinte dallo stoicismo –, dando a Seneca e ai suoi destinatari la forza di superare il
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timore di disgrazie future, come la povertà, la malattia, l’esilio, e simili. Come
l’admonitio, essa non si rivolge ancora alla sfera razionale, dato che non si propone di
correggere la passione in quanto giudizio errato e di dimostrare che tutte le sventure
sono in realtà non ‘mali’, ma soltanto ‘cose indifferenti’ (in greco ȡǎǓʊǠǙǛNj). Ciò corri-
sponderebbe perfettamente alla dottrina stoica, il cui possesso in questo stadio non è an-
cora presupposto né richiesto nei destinatari di Seneca. In alcune lettere a Lucilio Seneca
sembra anzi adottare il punto di vista di Epicuro, rifiutando, come il maestro greco, di
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preoccuparsi di sventure che potrebbero non verificarsi mai. Il suo atteggiamento più
comune, tuttavia, è molto diverso: esorta ad attendersi che tutte le sciagure possibili si
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verificheranno realmente, allo scopo di essere preparati ad affrontarle tutte.
La tirannia del tempo mi costringe a una semplice menzione del timore più grande
che deve essere superato: quello della morte. Esso richiederebbe un articolo, o meglio
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una monografia tutta intera. Sulla scia di una lunga tradizione, Seneca considera la
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meditatio mortis come la più necessaria di tutte le meditationes, da un lato perché si
tratta dell’unica disgrazia che avverrà sicuramente, dall’altro perché è la sola alla quale
non è possibile prepararsi con l’esercizio.
Un aspetto caratterizzante della meditatio è costituito, come ha osservato Newman,
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dalla «costante e rigorosa applicazione di determinate frasi ed immagini». Ciò com-
porta la continua ripetizione delle stesse idee e il continuo variare della loro formula-
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zione retorica – una caratteristica che si accorda perfettamente con lo stile di Seneca.
57 Vd. Armisen-Marchetti (1986, pp. 186-188), e Wacht (1998, pp. 526-528), per i precedenti filosofici di
questa pratica, adottata anche dagli Stoici (per es. SVF III 482, e vd. Wacht, [1998, p. 528 n. 74]).
58 Cfr. Cic. Tusc. 3,32 (Epicurus censet) neque vetustate minui mala nec fieri praemeditata leviora,
stultamque esse meditationem futuri mali aut fortasse ne futuri quidem: satis esse odiosum malum omne, cum
venisset; qui autem semper cogitavisset accidere posse aliquid adversi, ei fieri illud sempiternum malum. ~
Sen. epist. 13,4 illud tibi praecipio ne sis miser ante tempus, cum illa quae velut inminentia expavisti fortasse
numquam ventura sint, certe non venerint; 74,33 quid autem dementius quam angi futuris nec se tormento
reservare, sed arcessere sibi miserias et admovere? Qui Seneca adotta uno dei rimedi proposti da Epicuro
(avocatio a cogitanda molestia: cfr. Cic. Tusc. 3,33) e afferma espressamente di non seguire lo stoicismo
(epist. 13,4 non loquor tecum Stoica lingua). Nelle Consolazioni raccomanda l’altro rimedio di Epicuro
(revocatio ad contemplandas voluptates: Cic. ibid.): epist. 99,4; Pol. 10,3. Cfr. Armisen-Marchetti (1986, pp.
188; 191-193); Wacht (1998, pp. 526-529). Abbiamo già osservato (sopra, nota 47) che anche Crisippo
ammetteva l’incoerenza dottrinale quando la necessità della terapia era urgente. Un atteggiamento diverso
appare in epist. 24,1-2.
59 Affermazioni in questo senso sono innumerevoli in Seneca. Vd. Armisen-Marchetti (1986); Newman
(1989); Wacht (1998). Come dimostrato da Armisen-Marchetti (1986, pp. 191-192), Seneca non è incoerente,
ma semplicemente rimanda la meditatio al momento in cui il proficiens ha progredito abbastanza per essere in
grado di controllare razionalmente l’aspettativa di disgrazie future, invece che lasciarsene sopraffare.
60 Noteremo soltanto che la morte (come pure l’esilio: cfr. epist. 85,41; 91,8) è già affrontata nelle
Consolazioni: un’ulteriore dimostrazione del fatto che queste non differiscono fondamentalmente dal resto
dell’opera senecana.
61 Per es. epist. 70,18; e innumerevoli altri passi senecani.
62 Newman (1989, p. 1475).
63 Cfr. Newman (1989, p. 1480); Graver (1996, p. 130). Seneca è assolutamente chiaro su questo punto, nella
pratica come nella teoria. Cfr. per es. epist. 27,9 hoc saepe dicit Epicurus aliter atque aliter, sed numquam
nimis dicitur quod numquam satis discitur; 94,26 quaecumque salutaria sunt saepe agitari debent, saepe
versari, ut non tantum nota sint nobis sed etiam parata. Cfr. Bellincioni (1979, p. 159), per passi analoghi.