Page 24 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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12 Aldo Setaioli

Per quanto la maggior parte dell’opera senecana rientri in realtà negli stadi
terapeutici preliminari fino a qui esaminati, e per quanto gli elementi teorici che vi
affiorano siano tutt’altro che sistematici, non possiamo non tener conto del fatto che
Seneca prevede uno stadio successivo, durante il quale si dovrà insegnare ed
apprendere il fondamento filosofico della saggezza. Sebbene a volte tenda a trasportare
perfino i decreta – i princìpi teorici dell’etica – nella sfera dei praecepta – le istruzioni
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pratiche –, è chiaro nondimeno che la meta finale della sua terapia può essere
raggiunta solo quando il paziente ha assimilato i principi filosofici in modo da
possederli e padroneggiarli perfettamente. Ciò non è ancora avvenuto negli stadi
anteriori, e per questa ragione i praecepta impartiti a quel livello sono spesso
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inefficaci. Solo quando l’azione è guidata dalla conoscenza teorica è possibile
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raggiungere il livello di perfezione etica segnato dalla virtù. Lo stadio finale dello
studium sapientiae coincide dunque con la conquista della consapevolezza filosofica.

6. La nostra rassegna degli stadi e dei procedimenti propri della terapia vòlta a ristabili-
re la sanità della ragione umana e a produrre una trasformazione (o autotrasformazione)
che permetta di acquisire la saggezza e la virtù non sarebbe completa senza un accenno
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a un importante strumento a disposizione del proficiens: i libri e la lettura (con la
scrittura a costituire il rovescio della medaglia). I secoli trascorsi dal celebre mito di
Theuth narrato nel Fedro di Platone, che svalutava la scrittura a favore del discorso ora-
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le, non avevano evidentemente diminuito la sua attrattiva; un atteggiamento di diffi-
denza nei confronti dei libri e della lettura (come pure della scrittura) ricompare ancora
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chiarissimo in Epitteto. Ma Seneca non era un liberto che pronunciava pubbliche
conferenze in lingua greca, ma un membro dell’aristocrazia romana che si rivolgeva in


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Epist. 94,31 quid enim interest inter decreta philosophiae et praecepta nisi quod illa generalia praecepta
sunt, haec specialia?; 95,34 in hac ergo morum perversitate desideratur solito vehementius aliquid quod
mala inveterata discutiat: decretis agendum est ut evellatur penitus falsorum recepta persuasio. Si noti il
tono ‘agonistico’ del secondo passo, inatteso in rapporto ai decreta, che dovrebbero essere formulati
attraverso il sermo non emotivo piuttosto che l’aggressiva admonitio. È evidente, tuttavia, che nelle ultime
epistole i problemi teorici tendono ad acquistare sempre maggiore importanza. Lucilio sembra ormai aver
superato lo stadio dell’admonitio ed essere pronto per l’istruzione filosofica vera e propria; per usare i termini
di epist. 38,1, Seneca gli si rivolge ormai non più ut velit discere, ma piuttosto ut discat.
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Il testo più chiaro in questo senso è forse epist. 95,37-38; cfr. 94,6-8. Quest’ultimo passaggio riporta il
pensiero di Aristone, che Seneca rifiuta, ma solo per quanto riguarda l’asserita inutilità dei praecepta. Il punto
centrale dell’argomentazione di Aristone – la necessità di correggere l’errata opinione che gli ȡǎǓʊǠǙǛNj siano
beni o mali reali – è sicuramente condiviso da Seneca.
103 Epist. 90,45 virtus non contingit animo nisi instituto et edocto et ad summum adsidua exercitatione
perducto; 94,47 pars virtutis disciplina constat, pars exercitatione; et discas oportet et quod didicisti agendo
confirmes. In questi passi l’exercitatio non è la simulazione preparatoria ma l’applicazione pratica – sia pure
in un primo tempo sperimentale – di princìpi filosofici saldamente assimilati. Cfr. Bellincioni (1979, pp. 186-
187). Nel secondo passo Seneca include anche i praecepta in questi princìpi.
104 Graver (1996) ha dedicato una brillante dissertazione a questo argomento, purtroppo senza conoscere il
mio saggio sulle teorie senecane sullo stile e l’attività letteraria (Setaioli [1985]; cfr. oltre, nota 122). Cfr.
anche Guglielmo (1997).
105 Plat. Phaedr. 274c-278b.
106 Epict. diss. 1,26,16; 4,4,2-18; 30; 33; 40-41. Cfr. Graver (1996, pp. 3-4; 50-56: a p. 52 Cratete di Mallo è
erroneamente sostituito a Cratete di Tebe). Epitteto non è contrario alla lettura, se mira al miglioramento
etico, ma le sue vedute in proposito appaiono molto più ristrette di quelle di Seneca. Vd. oltre.


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