Page 143 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Virgilio in Seneca tragico 131

tracotante dalla ostilità di Giunone? Credo che la chiave di lettura consista nella
rappresentazione di un nuovo, rispetto allo stesso Enea, modello di virtus: non quella di
una eroicità trionfalistica e per sé ma quella, umile e silenziosa, di una eroicità per gli
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altri. Lo vedremo meglio più avanti. Per ora limitiamoci a dire che S. non vuole
ironizzare sulla eroicità di Enea come viene canonizzata da V., ma superarla con un
nuovo modello di Virtus: quella di Ercole che raggiunge la vera apoteosi dopo aver
toccato il fondo del suo ‘fallimento’.
S., insomma, ha voluto che dietro alla eroicità del suo Ercole, eroe stoico per
eccellenza, aleggiasse l’eroe romano per antonomasia: l’Enea virgiliano, eroe debole
perché vinto, ma reso ancor più forte dalla sua vittoria finale nonostante l’avversità di
Giunone. Non a caso anche l’Ercole senecano, momentaneamente vinto da Giunone,
acquisterà la sua ultima e vera vittoria, quella su se stesso, facendo così fallire gli intenti
persecutori della dea persecutrice.
Che il confronto tra l’Enea virgiliano e l’Ercole senecano debba intendersi
all’insegna non certo di una polemica, destruens, nei confronti dell’eroe archetipico di V.
(e di tutta la ‘romanità’) bensì di un suo superamento, construens, verso valori ancor più
umilmente e, per così dire, esistenzialmente, altruistici lo possiamo dedurre da come S. ha
costruito il finale della sua fabula sul furor di Ercole.
Questi, dopo il sonno riparatore, ‘scopre’ – un po’ in analogia con l’Edipo di Sofocle
– di essere stato proprio lui lo sterminatore della moglie e dei figli, sicché, in perfetta
sintonia con l’etica eroica volgata, e perfino stoica, decide di togliersi la vita. A questo
punto diventa importante osservare che, dietro al dialogo tra Ercole e Anfitrione (in cui
l’eroe prima decide il suicidio – v. 1245 pater, recede: mortis inveniam viam – e solo
dopo l’atto del vecchio pater di volersi uccidere per primo, recede dal proprio desiderio
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di morte per accettare la volontà del padre: in particolare cfr. vv. 1245-1314), si
intravvede in filigrana l’episodio di Aen. 2,634-704, che rappresenta la stessa dinamica,
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sebbene capovolta, tra Anchise – v. 645 ipse manu mortem inveniam – ed Enea.
S. vuole ‘associare’ la drammaticità della pericope Ercole/Anfitrione a un alto
memorabile modello: niente meno di quello, analogo, di Enea/Anchise. Ma mentre


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Cfr. Motto-Clark (1981, p. 107): «A man, Seneca held, should not elect suicide so long as he may be of
service to others; he may only indulge in self-murder si nemo iam uti eo poterit (epist. 24,24-24)» e citano
inoltre epist. 104,3 e 78,2.
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Li Causi (2007), studiando le figure paterne di Ercole (dapprima dal punto di vista antropologico, poi
narratologico), si sofferma su quella di Anfitrione, cui riconosce tratti tipicamente materni (la dimostrazione
del proprio adfectus, l’indulgentia), analizzando in particolare la strategia retorica con cui tenta di
deresponsabilizzare il figlio e di distoglierlo dalla volontà di morte: primo argomento è l’error sine culpa (vv.
1200-1201), secondo la restitutio dei beneficia e gli officia pietatis (vv. 1246-1257) e infine la minaccia di
suicidio (vv. 1300-1313). Più in generale sull’uso del lessico parentale cfr. Borgo (1993), che dopo aver
analizzato l’impiego (spesso indifferenziato) di pater, parens e genitor in riferimento sia a Giove che ad
Anfitrione, afferma: «Sull’incerta figura del padre di Ercole, dunque, particolarmente su quella del padre
acquisito, e sulla relativa terminologia, finisce così per concentrarsi buona parte della tensione emotiva del
finale del dramma» (p. 68), e citando i vv. 1246-1248 aggiunge: «Per una volta Seneca intenzionalmente
confonde i ruoli familiari nella ricerca a tutti i costi di effetto patetico, trascurando anche la questione
“nominale”» (p. 68).
33 Per il confronto vd. Caviglia (1979) e Fitch (1987) ad loc. Si noti che la ripresa da parte di S. di V. non è
solo sul piano, diciamo così, della sceneggiatura ma anche su quello verbale: la ricerca meccanica mort* +
inven* ‘scopre’ solo questi nostri due passi.


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