Page 141 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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spontaneamente dalla torre), l’altro, noetico, che consiste nella argomentazione, cantata dal
coro delle Troiane, secondo la quale l’inferno e Cerbero sono rumores vacui verbaque
inania / et par sollicito fabula somnio (v. 405 s.). Che è lo stesso argomento della citata
epistola 82,16,23 in cui appunto si ripete che l’inferno è una pura invenzione alla cui cattiva
e menzognera rappresentazione (ad augendum eius infamiam) hanno contribuito molti
uomini di ingegno, in primis V. che, senza essere menzionato, viene citato con rimando a
due passi diversi dell’Eneide, e cioè 6,401 e 8,296 s., in cui si descrive a tinte fosche
l’inferno.
A ulteriore riprova che la prospettiva apocalittica delle Troades sia l’affermazione
della virtus e della sapientia perfino e soprattutto in condizioni estreme, secondo gli stessi
postulati di S. filosofo, ci viene dal confronto tra la clausola del sopra citato Coro (v. 407
s. Quaeris quo iaceas post obitum loco? / Quo non nata iacent) con epist. 54,4 laddove,
dopo che S. ha detto di aver sperimentato (expertus) a lungo la morte, così prosegue:
Quando? Inquis: antequam nascerer. Mors est non esse. Come si può osservare perfino il
materiale verbale e stilistico, oltre che ovviamente semantico, del poeta (attraverso la
voce del Coro) è perfettamente speculare con quello del filosofo.
Se, come abbiamo visto nelle Troades, la consonanza dell’Eneide con la fabula e in
particolare di Enea (e in un caso di Iulo) con Astianatte si fa sempre più evidente nello
sviluppo dell’azione, in Hercules furens la memoria dell’epos virgiliano è sonante già
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dall’incipit:
soror Tonantis (hoc enim solum mihi
nomen relictum est) semper alienum Iovem.
È Giunone che parla e che, gelosa della ascesa all’Olimpo cui è destinato Ercole, figlio
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di Giove e Alcmena, programma la sua vendetta contro l’eroe/nemico.
Anche se il passo più vicino al nostro può essere considerato Ov. met. 3,265 s.
(… si sum regina Iovisque / et soror et coniunx, certe soror…), è certo che nella
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Cfr. Doppioni (1939, pp. 90-91), Setaioli (1965, p. 136, nn. 2-3).
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Caviglia (1979 ad loc.) rimanda ad Aen. 7,312; Ov. met. 2,513; 3,265; Fitch (1987) e Billerbeck (1999) ad
loc. rimandano ad Aen. 4,323-324. Cfr. Putnam (1992, p. 245): «the opening monologue of Iuno, though it
has parallels in Ovid’s Metamorphoses as well, carefully echoes the initial lines of the Aeneid with
phraseology not found in the later poem, to such a degree in fact that it often resembles nothing more than a
powerful dramatization, in soliloquy, of what Vergil leaves implicit in his third-person narrative» e riscontra
in odia e ira (vv. 27-29; 34-35) gli stessi sentimenti della dea virgiliana, con la differenza che nella tragedia
la preghiera è che il furor pungoli dall’interno la vittima (bella iam secum gerat). Morelli (2007) individua
nell’incipit della tragedia l’eco di Aen. 1,37-49 e di 7,293-322 a proposito dell’ira di Giunone, ma il confronto
virgiliano prosegue con 6,103-131 (l’atteggiamento rispettoso e supplichevole di Enea verso la Sibilla si
contrappone a quello tracotante di Enea che riporta le spoglie del dio infero, ma nell’orgogliosa richiesta
dell’eroe troiano lo studioso individua il ‘punto di partenza’ per l’azione del personaggio tragico) e tra
quest’ultimo e Herc. f. 49-55 (per il ruolo centrale svolto da ‘Giove padre’).
25 Motto-Clark (1981) analizzano l’intera vicenda sottraendo il personaggio al giudizio negativo di ampia
parte della critica, che addita Ercole come superbus e individua nella follia la conseguente punizione divina,
sottolineando come dalla sua condizione di vittima della gelosia di Giunone si generi il modello di un vero,
nuovo eroe, incarnazione della maxima virtus di cui egli dà prova nella fatica più grande, quella di vivere per
amore del padre.