Page 123 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Il significato politico dell’Hercules Furens e dell’Hercules Oetaeus di Seneca 111

Il coro si esprime nei termini della buona tradizione filosofica. Chi sa morire non è
infelice (vv. 104-118):

par ille est superis cui pariter dies
et fortuna fuit; mortis habet vices 105
lente cum trahitur vita gementibus.
quisquis sub pedibus fata rapacia
et puppem posuit fluminis ultimi,
non captiva dabit bracchia vinculis
nec pompae veniet nobile ferculum: 110
numquam est ille miser cui facile est mori.
illum si medio decipiat ratis
ponto, cum Borean expulit Africus
aut Eurus Zephyrum, cum mare dividunt,
non puppis lacerae fragmina conligit, 115
ut litus medio speret in aequore:
vitam qui poterit reddere protinus,
solus non poterit naufragium pati.
È un canto stoico di trionfo sulla morte. È fortunato colui al quale la fortuna è favorevole
66
finché vive. Subisce già la morte (involontariamente) colui per il quale la vita si trascina
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tra i lamenti (vv. 104-106): egli non può indirizzare la propria vita secondo il proprio
pensiero. trahitur richiama alla mente la sentenza citata da Seneca ducunt volentem fata,
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nolentem trahunt (epist. 107,11). Chi disprezza la morte (fata) e la barca di Caronte non
sarà vinto e non marcerà come prigioniero nel corteo trionfale di un vincitore (vv. 107-110).
Non è mai infelice colui per il quale è facile morire (v. 111). Se si imbatte in una tempesta
(che simboleggia la sorte avversa) per lui vale questo: chi restituisce prontamente la sua vita
è l’unico che non dovrà patire nessun naufragio (vv. 112-118). Farnabius rimanda al terzo
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coro dell’Agamemnon, il cui inizio esprime lo stesso concetto (Ag. 589-592):
heu quam dulce malum mentibus inditum
vitae dirus amor, cum pateat malis 590
effugium et miseros libera mors vocet
portus aeterna placidus quiete.

Anche qui c’è un coro di donne prigioniere (le Troiane), che al loro destino senza via
d’uscita contrappongono, in una visione stoica, la possibilità del suicidio.
In questo contesto si inquadrano anche singole figure come Ecuba nelle Troades o
Cassandra nell’Agamemnon. Quando l’uomo non ha nulla da perdere raggiunge la massima
libertà, dice Cassandra davanti alla rovina imminente: libertas adest (Ag. 796). E qui il
lettore o ascoltatore attento del tempo di Seneca non poteva non pensare alla ‘opposizione
stoica’. Gli veniva forse già in mente un Trasea Peto (morto nel 66)? Sarebbe in ogni caso

66 «Cuius vita simul cum fortunae felicis exitu sinit» (Farnabius 1676, p. 282).
67 «Vita in miseriis acta, mors est» (Farnabius 1676, p. 282).
68 «Contempsit mortem & Charontis cymbam» (Farnabius 1676, p. 282).
69
Farnabius (1676, p. 282).

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