Page 121 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Il significato politico dell’Hercules Furens e dell’Hercules Oetaeus di Seneca 109
sator deorum, cuius excussum manu
utraeque Phoebi sentiunt fulmen domus,
secure regna – protuli pacem tibi,
quacumque Nereus porrigi terras vetat.
non est tonandum; perfidi reges iacent, 5
saevi tyranni. fregimus quidquid fuit
tibi fulminandum. sed mihi caelum, parens,
adhuc negatur? parui certe Iove
ubique dignus teque testata est meum
patrem noverca. quid tamen nectis moras? 10
numquid timemur? numquid impositum sibi
non poterit Atlas ferre cum caelo Herculem?
Nelle prime parole Ercole batte con arroganza sulla spalla di Giove e gli dice che può
regnare tranquillamente, poiché ha portato per lui la pace. È un completo capovolgimento
dei fatti. Non solo Ercole ha dovuto compiere le fatiche soprattutto per ordine di Giunone e
di Euristeo, e questo fatto non ha nulla a che fare con l’ordinamento del mondo, ma inoltre
Giove ovviamente non ha avuto affatto bisogno dell’aiuto non richiesto. Bestie e uomini
non minacciano il suo dominio. Dunque non c’è nemmeno un motivo indiretto che
giustifichi Ercole quando dice che porta la pace a Giove (vv. 1-4). L’eroe però parla di
perfidi reges e saevi tyranni (vv. 5-6): a chi intende riferirsi? Né Lico né Eurito, che Ercole
ha ucciso, minacciano Giove. Le parole sono sconsiderate. È dunque del tutto inopportuno
che Ercole, in virtù di queste imprese, rivendichi di meritare il cielo, che invece gli viene
negato pur essendosi egli dimostrato degno di Giove. Lo si teme per qualcosa? Forse
64
Atlante non può reggere la volta del cielo con tutto Ercole (vv. 7-12)? Ciò che prima
Giunone temeva (caelo timendum est, Herc. f. 64), ormai si avvera: Ercole pretende con
arroganza il cielo. Con le ironiche parole su Atlante Ercole riprende l’immagine ad effetto
del discorso di Giunone (Herc. f. 70-74):
subdidit mundo caput
nec flexit umeros molis immensae labor
meliusque collo sedit Herculeo polus:
immota cervix sidera et caelum tulit
et me prementem. quaerit ad superos viam.
Là Ercole sosteneva il cielo con (la pesante) Giunone; qui, rigirando per così dire le parole
della dea, chiede se Atlante non possa reggere il cielo con lui sopra. In modo simile anche
l’ultima espressione di Giunone quaerit ad superos viam è ripresa dall’Ercole dell’Oetaeus
ai vv. 31-33:
redde nunc nato patrem
vel astra forti. nec peto ut monstres iter;
permitte tantum, genitor: inveniam viam.
64 «Numquid ego in cœlum relatus nimio pondere prægravans urgebo Atlanta cœlum humeris sustinentem?»
(Farnabius 1676, p. 279).