Page 127 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Il significato politico dell’Hercules Furens e dell’Hercules Oetaeus di Seneca 115

2.8. Significato politico e datazione
Mettendo a confronto l’Ercole del Furens e l’Ercole dell’Oetaeus emerge in modo
chiaro che nella prima tragedia l’eroe giunge alla conclusione di continuare a vivere
dopo il misfatto (vivamus, Herc. f. 1317), ma nella seconda non è cambiato. Continua a
vivere per seguitare a fare come sempre. Un Ercole tranquillo è in effetti difficilmente
concepibile: è, per così dire, una contraddizione in termini.
Da qui scaturiscono importanti conseguenze per l’interpretazione politica. Se si
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ritiene con la Walde che l’Oetaeus abbia un «eminent unpolitischen Charakter», non si
devono prendere in considerazione le osservazioni che seguono. Se l’Ercole del Furens
rimanda a Nerone, deve mostrargli chiaramente che un tentativo di autocontrollo, un
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cambiamento verso la moderazione è possibile (secondo Nisbet intorno all’anno 54). Al
contrario l’Ercole dell’Oetaeus chiarisce inequivocabilmente che si è trattato di
un’illusione. Il poeta potrebbe dunque diagnosticare, fatto che corrisponde alla realtà
storica, che Nerone non solo è rimasto quello di prima, ma che si è anche evoluto verso
il peggio. Che la tragedia sia di Seneca o comunque del suo tempo, potrebbe essere
stata composta tra il 62 e il 65; in ogni caso, dopo la morte di Nerone (68) perderebbe
del tutto la sua arguzia e la sua forza dirompente, e sembrerebbe solo un lavoro di vuota
retorica, così come in effetti l’hanno giudicata i secoli successivi. Il Furens vive anche
senza il riferimento a Nerone, l’Oeteus no.
Sarebbe una grossa tentazione vedere dietro Alcmena Agrippina. In effetti il
lamento della madre di Ercole nuoce al contesto mitologico. Secondo Heinsius, Sofocle
nelle Trachinie ha tralasciato giustamente Alcmena. «Alcmenae personam optime omisit
Graecus. Nam quae verba digna inveniri poterant? Hic ubique sublimitatem quaesivit. Et
vix drama invenias, quod aeque assurgeret, nisi tumeret». Si potrebbe concludere che
Alcmena per il significato politico è stata introdotta nell’azione ‘forzatamente’. Se ciò
fosse vero, non si dovrebbe necessariamente pensare ad una datazione anteriore al 59,
perché potrebbe trattarsi di un riferimento al ruolo passato di Agrippina, che era
notoriamente una ammonitrice di Nerone. Le parole di Alcmena ai vv. 1396-1398
suonano come la constatazione che Ercole-Nerone non deve la sua rovina a influssi
esterni, ma solo a se stesso:

non virus artus, nate, femineum coquit,
sed dura series operis et longus tibi
pavit cruentos forsitan morbos labor.

Quale interesse avrebbe Alcmena a discolpare Deianira? Se dietro Ercole si deve vedere
Nerone, la dura series operis deve essere riferita alle sue azioni. Con morbos Alcmena
intende riferirsi alla ‘malattia’ di Ercole; l’eroe non comprende affatto il ragionamento
della madre e crede che stia parlando di morbi esterni, che egli vorrebbe subito eliminare
(vv. 1399-1402):



80 Walde (1992, p. 292: «seine Welt ist die der Mythologie»).
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Nisbet (1990, p. 96).

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