Page 116 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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104 Eckard Lefèvre

coro chiede come il correre incontro alla morte possa procurare gioia: quid iuvat durum
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properare fatum? (v. 867: «perché affrettare il fato inesorabile?»). Tutti devono
comunque giungere nel regno degli inferi (vv. 868-872). Anche se la morte indugiasse,
saremmo noi stessi ad affrettarci incontro a lei: sis licet segnis, properamus ipsi (v. 873).
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Dunque non è il fato ad affrettarsi, ma l’uomo. Quale uomo? È evidente che properare
non è usato casualmente, poiché si incontra nello stesso contesto già nel primo e nel
secondo coro. Nei vv. 186-187 Ercole viene biasimato per il suo «affrettarsi»: nimium,
Alcide, pectore forti / properas maestos visere Manes. Egli è un esempio della vita che
scorre rapidamente (properat cursu / vita citato, vv. 178-179) e si contrappone alla
tranquilla gioia di vivere (dum fata sinunt, / vivite laeti, vv. 177-178). In conclusione
appare dunque evidente, che anche nel terzo coro Ercole rappresenta l’uomo che si
affretta verso la morte. Anche Orfeo nel secondo coro è un esempio di fretta inopportuna,
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causa di un esito negativo: munus dum properat cernere, perdidit (v. 589). Il coro
considera Orfeo, per così dire, un precursore di Ercole.
Secondo Zintzen il terzo coro ha uno sfondo stoico. Ai vv. 870-871 egli osserva che
sono «Gedanken des stoischen Philosophen, der den Sieg und die Taten des Herakles
konfrontieren möchte mit der Forderung des meditari mortem»; allo stesso tempo è «ein
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Hinweis auf die Katastrophe, welche […] im vierten Akt» si compirà. Nel canto è
presente uno sfondo stoico, sul quale si distingue per contrasto il destino di Ercole.



1.6. Filosofia, politica e pedagogia
Theodor Birt ha sostenuto con vigore l’opinione che Seneca avrebbe scritto le tragedie
per l’allievo Nerone. L’educazione impartita da Seneca sarebbe stata un’incessante lotta
contro l’ira. Le tragedie costituirebbero una sorta di exempla per l’opera filosofica De
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ira. Di Medea si dice frenare nescit iras (Med. 866). «Das Wort ist typisch; denn
dasselbe Wort gilt auch von der Raserei des Herkules, von dem Rachedurst des Atreus,
von der verschmähten Liebe Phädras usf. Überall nichts als Maßlosigkeit des
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Eigenwillens».
L’interesse maggiore è suscitato dal passo sulla punizione dei tiranni, nella descri-
zione che Teseo offre del mondo degli inferi (vv. 735-747):

quod quisque fecit patitur, auctorem scelus 735
repetit suoque premitur exemplo nocens.
vidi cruentos carcere includi duces
et impotentis terga plebeia manu
scindi tyranni. quisquis est placide potens


29 Caviglia (1979, p. 171).
30 Secondo Caviglia (1979, p. 251) Seneca segue qui Ovidio, met. 10,31-35. Qui si parla dei properata fata di
Euridice, un esempio per l’uso transitivo di properare.
31 pignus Giardina.
32 Zintzen (1972, pp. 188-189).
33 non scit Fabricius, Giardina.
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Birt (1911, p. 348).

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