Page 112 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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100 Eckard Lefèvre
chiaramente dall’entrata in scena di Ercole nella seconda metà della tragedia: Ercole cade in
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rovina per la sua superbia, che oltrepassa ogni misura. Pertanto il paradosso di Giunone,
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secondo il quale Ercole ha come unico avversario se stesso, è più di un motto arguto:
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quaeris Alcidae parem? / nemo est nisi ipse: bella iam secum gerat (vv. 84-85).
Giustamente la critica più recente ha tratto la conclusione che Giunone è il simbolo del
furor che sorge in Ercole; la dea costituisce «a vivid dramatization of the disorder in the
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human mind». Come le umbrae nell’Agamemnon e nel Thyestes, ella spinge l’eroe solo a
ciò per cui è già predisposto. Affinché Ercole possa essere colpito dalla follia, è necessario,
dice Giunone, che prima diventi furiosa lei stessa: in tal modo ella rivela con estrema
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chiarezza, per così dire ex cathedra, il proprio significato simbolico (vv. 107-109):
ut possit animum captus Alcides agi,
magno furore percitus, nobis prius
insaniendum est. – Iuno, cur nondum furis?
È chiaro che Ercole deve essere accecato dal furor, quando ucciderà i suoi figli. Giuno-
ne, invece, non ha bisogno del furor nel momento in cui immagina il giorno della ven-
detta (inveni diem, v. 114). Ci si potrebbe domandare, quando ella sia veramente in
preda al furor: nel momento in cui concepisce la vendetta (v. 114), oppure più tardi,
quando è ‘complice’ del delitto (vv. 118-121)? Si può discutere la questione quanto si
vuole: Giunone non è una autorità ‘autonoma’, che interviene negli eventi
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dall’esterno, ma il simbolo del furor, al pari della Giunone virgiliana. Il furor agisce
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in Ercole indipendentemente da Giunone, così come nel Turno virgiliano il furor ope-
14 «Alle seine Taten sind Maßlosigkeiten gewesen. Was im Wahnsinn ausbricht, ist in seinem Wesen
angelegt; der Iunoprolog hat die Deutung bereits vorweggenommen» (Hiltbrunner, 1985, p. 1008).
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Cfr. Zintzen (1972, p. 160).
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Su questa espressione molto discussa cfr. Petrone (1996, p. 162): si tratterebbe di «un modo di ricodificare il
mito, che ne rispetta esattamente la storia tradita […] ma attraverso una formula che permette la collocazione di
quella vicenda in una categoria mentale, quella del bella secum gerere, che è la stessa portata a spiegazione del
dramma che ha logorato lo stato. Seneca fa dunque in modo di far sospettare dietro alle storie tragiche che
racconta un secondo livello di riferimento; oltre i limiti di una significatività immediata, fa balenare nel mito il
valore di una conferma o di una premonizione di quanto la realtà ha conosciuto. Questo avviene non per una
sovrapponibilità per così dire meccanica tra mito tragico e storia vera ma come conseguenza di una lucida
volontà da parte dell’autore, che obbliga chi ne riceve il messaggio all’analogia, guidandolo attraverso un
percorso ermeneutico di forzate coincidenze, di trappole del linguaggio». Nel senso della tesi della Petrone si
potrebbe alludere con bella secum gerere alle conseguenze dell’agire di Ercole-Nerone.
17 Shelton (1978, p. 23). Cfr. Zintzen (1972, pp. 160-161): «Die Katastrophe kommt nicht wie im Drama des
Euripides von außen her durch göttliches Eingreifen zustande; Herakles’ eigene Konstitution, seine Größe,
bringt ihn zu Fall». Cfr. inoltre Hiltbrunner (1985, p. 1008): «An die Stelle der Motivation aus dem Mythos (Eur.
827-832) tritt bei Seneca die psychologische: Die Katastrophe des Hercules wird ausgelöst durch seine Hybris».
18 vobis (EPCS); nobis (Ttǜ).
19 Così Zwierlein (1984, p. 15).
20 Picone (1984, p. 21) ha ragione riguardo ad Atreo nel Thyestes a rimandare nella n. 40 anche a Herc. f. 86 ss.,
100 ss. e in particolare a 109 ss.: «Seneca non nega la responsabilità individuale, giacché questa consiste
nell’autonoma decisione dell’eroe, determinata dal suo ethos, di accogliere dentro di sé il furor, il quale poi agirà
nell’insondabile profondità dell’animo producendo frutti di dolore e di morte, in linea con le caratteristiche della
colpa primigenia. Sulla superficie testuale questo dato trova estrinsecazione nella formalizzazione di un segnale
microsintattico, l’appello alle Furie, operato dal personaggio, perché esse intervengano e accrescano il suo
desiderio di vendetta» (Thy. 250-254). Nell’Hercules Furens si tratta più tardi della vendetta di Ercole su Lico.