Page 115 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Il significato politico dell’Hercules Furens e dell’Hercules Oetaeus di Seneca 103
Secondo Rita Degl’Innocenti Pierini sembra trattarsi di «una denuncia dei difficili
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tempi che egli si trovò a vivere».
1.4. Il monologo di entrata in scena di Ercole (vv. 592-615)
Ercole fa ritorno dagli inferi recitando un monologo. Egli è caratterizzato da grande
egocentrismo, smodatezza e hybris. Saluta convenientemente il Sole, ma gli chiede poi
perdono per aver preteso che osservasse quid inlicitum: affermazione, questa, che non
suona davvero come modesta. Che tale interpretazione sia corretta si deduce anche dal
modo insolente con cui Ercole si rivolge a Giove, consigliandogli di coprirsi gli occhi con
la folgore; pensa evidentemente che Giove resterebbe così abbagliato da non vedere il
cane Cerbero. Tuttavia il caelestum arbiter parensque non ha certo bisogno di
suggerimenti! Ercole poi elargisce a Nettuno un consiglio altrettanto generoso, di
immergersi cioè in acqua! Anche la successiva affermazione di Ercole, che per l’odio di
Giunone non ci sarebbero labores e terrae a sufficienza (come già al v. 46), suona
arrogante, poiché sta a indicare l’impotenza di Giunone, se non addirittura il suo
fallimento. A questo punto anche il terzo regno riceve la sua parte. La hybris raggiunge il
culmine, quando Ercole dice che avrebbe potuto impossessarsi del regno di Plutone, se
solo gli fosse piaciuto! La sua dichiarazione fata vici (v. 612) non esprime semplicemente
un dato di fatto, ma l’orgoglio smodato di avere vinto il destino.
Tale affermazione si colloca sullo stesso piano delle opinioni, colme di hybris, di
Megara sul proprio sposo: orbe diducto redi (v. 281), erumpe rerum terminos tecum
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efferens (v. 290). Allo stesso modo è sconveniente che Ercole dica di essere ritornato
morte contempta: anche per un eroe sarebbe stato ragionevole tremare al cospetto della
morte in persona. Egli non è valoroso, ma presuntuoso. Infine esorta Giunone a ordinargli
ancora altre imprese. Anche questa è hybris: sarebbe stato conveniente ubbidire alla
divinità, non sfidarla. Ercole vuole sempre spingersi a fare più del dovuto. Questa è anche
l’opinione di Megara: indigna te sunt spolia, si tantum refers / quantum imperatum est
(vv. 294-295). Sarebbe sbagliato definire Ercole come un eroe che sopporta stoicamente.
1.5. Il terzo coro (vv. 830-894)
Il terzo coro è composto da una parte più cupa, in cui ancora una volta viene evocato il
mondo degli inferi (vv. 830-874), e da una parte luminosa, in cui il coro esprime la sua
gioia per il ritorno di Ercole (vv. 875-894). Il cambiamento di metro dopo il v. 874
sottolinea la diversità tra le due parti. Di nuovo si tratta di un coro in cui si esprime un
pensiero ‘normale’, che probabilmente sarà ancora una volta in contrapposizione con il
comportamento di Ercole. Dalla descrizione del caos il coro trae la logica conseguenza,
che si vorrebbe giungere in quel luogo il più tardi possibile (vv. 864-866). Quindi il
27 Degl’Innocenti Pierini (1996, p. 55).
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Entrambi i passi sono definiti da Fitch (1987, p. 205 e p. 207) come hybris.