Page 55 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
P. 55
Capitolo 5 – La Constitutio Criminalis Carolina
da chi è stato visto commettere il reato, e così via. La presenza di almeno due indizi
remoti autorizza la tortura, ma in tal caso la decisione viene comunque rimessa alla
prudente valutazione del giudice, che è invitato a tenere conto delle difese e delle giu-
stificazioni addotte dall’imputato (art. 28). Seguono poi gli indizi prossimi, ognuno dei
quali è considerato «sufficiente»; tra questi sono ricompresi, in via d’esempio, il ritro-
vamento sul luogo del delitto di una cosa di proprietà dell’imputato, la flagranza solo
presunta, l’esistenza di una sola idonea testimonianza a carico, la denuncia di un com-
plice, la confessione stragiudiziale (artt. 29-32). Vengono infine enumerati una serie di
specifici indizi che autorizzano la tortura qualora si proceda per taluni determinati reati
(quali ad esempio l’omicidio, l’avvelenamento, la rapina, il furto, la magia), a conferma
della stretta relazione che all’epoca collega e sovrappone il diritto sostanziale a quello
processuale. Specifico indizio che autorizza la tortura in un caso di avvelenamento è ad
esempio il fatto che una persona in cattivi rapporti con la vittima si sia procurata so-
stanze velenose (art. 37).
La composita disciplina dell’’indizio sufficiente’ è solo una delle formali salva-
guardie con cui la Carolina circonda l’istituto della tortura. Essa infatti ne prevede altre
in ordine alle modalità dell’esperimento e alla ratifica dei risultati. L’imputato deve
essere «esortato» a indicare eventuali fatti giustificativi prima della tortura, e il giudice
li deve accuratamente verificare, «poiché molti, per semplicità d’animo o per terrore,
benché innocenti non sanno come procedere per giustificarsi» (art. 47). Il giudice con-
trolla con apposite indagini i contenuti della confessione, che deve chiarire ogni mini-
mo aspetto del fatto in modo che l’autoincriminazione abbia contenuti conclusivi (artt.
54-55). La confessione deve essere spontaneamente confermata almeno due giorni dopo
la tortura (art. 56), fatto salvo il rinvio alla tortura per l’imputato che ritratti (art. 57).
L’intensità della tortura e l’eventuale ripetizione della stessa devono essere commisura-
te al peso dei sospetti che gravano sull’imputato; ogni valutazione in proposito è rimes-
sa alla discrezionalità del giudice, mentre la dovuta verbalizzazione non deve essere
realizzata nel corso della tortura ma dopo la fine della stessa (art. 58). La Carolina
giunge a prevedere una cautela garantista destinata a divenire patrimonio comune delle
normative processuali solamente dopo secoli, e cioè il divieto per il giudice di ricorrere a
domande suggestive (art. 56). Riesce a preoccuparsi di eventuali ferite o lesioni presenti
sul corpo del torturato, che in questo caso dovrà soffrire il minor danno possibile (art.
59). Prescrive infine sanzioni per il giudice che abbia inflitto la tortura in violazione delle
norme vigenti, e in tal caso riconosce all’imputato il diritto al risarcimento (art. 61).
Il catalogo è questo, e si tratta certo di un brillante catalogo di garanzie, che distin-
gue la legislazione imperiale da analoghe coeve esperienze normative, a cominciare
dalle ordonnances francesi, e la avvicina alle posizioni della migliore dottrina penalisti-
ca dell’epoca (alla quale del resto, come abbiamo visto, si ispira di frequente il legisla-
tore imperiale). In effetti, la Carolina sembra essere la prima a non fidarsi pienamente
della confessione sotto tortura che essa stessa prevede come chiave di volta del sistema,
visto che la richiede come suggello formale anche nei casi di indubitabile e manifesta
colpevolezza, a cominciare dalla flagranza (art. 16). Più volte nel testo si sottolinea co-
me la confessione non debba semplicemente rappresentare una squallida e mera ammis-
sione di colpa intesa a facilitare il lavoro del giudice ne crimina remaneant impunita,
45