Page 134 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale

il giusto mezzo, che unisca insieme due contrarie ed opposte cose, cioè pubblica
sicurezza ed esatto castigo dei rei, cosicché entrambe l’una all’altra non si oppon-
gano, ma cospirino insieme allo stesso fine.

Filangieri – come abbiamo visto – risolve la questione indicando nel processo accusato-
rio l’unico modello assoluto e generalmente valido che assicuri il conseguimento dei
due estremi. In linea di principio, anche Pagano riconosce che il processo accusatorio è
in grado di evitare sia l’impunità del colpevole che la condanna dell’innocente. Attra-
verso l’esame delle varie forme assunte nel tempo dal processo penale individua nel
sistema romano-classico e, in tempi più recenti, nel sistema inglese, gli esempi storici
più vicini al modello ideale, caratterizzato dalla precisa separazione tra giudice, accusa-
tore e accusato, dalla libertà d’accusa, dalla uguaglianza delle parti processuali, nonché
dalla pubblicità e dall’oralità del procedimento, che ne condizionano tutte le fasi impe-
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dendo inutili dilazioni e indugi non necessari.
Le regole processuali vigenti si oppongono totalmente a tale modello: sorto durante
la decadenza di Roma e frutto di epoche violente e barbare, il processo inquisitorio pra-
ticato nel XVIII secolo risulta dominato dall’arbitrio dell’accusatore-giudice, è basato
sulla denuncia occulta, si distingue per la stretta applicazione dei principi della segre-
tezza e della scrittura, ed è infine segnato dalla triste condizione dell’imputato.



11.8. L’inefficacia dell’accusa nella forma di governo monarchica
Pagano mostra dunque una evidente propensione per un processo costruito sulla libera
accusa, che tuteli la libertà civile e nel contempo elimini ogni inutile perdita di tempo.
Peraltro, egli intende in primo luogo proporre una riforma che abbia concrete possibili-
tà di successo. Guidato dall’esperienza e dal pragmatismo, Pagano nutre seri dubbi sul-
la possibilità di creare dal nulla, segnatamente nella situazione napoletana, un sistema
accusatorio. Tale convinzione comporta una esplicita adesione alle teorie relativistiche
propugnate da Montesquieu:

Il vero processo accusatorio non può nella monarchia aver mai luogo; l’inquisizione
è quivi necessaria.
Nella repubblica, infatti, nulla si oppone al modello accusatorio, in quanto il cittadino
accusato che si sottragga con la fuga al processo va da solo «incontro alla pena maggio-
re, che mai possa un repubblicano soffrire, cioè il bando dalla patria, ov’egli è un ele-
mento della sovranità».
Nella monarchia, al contrario, ove la sovranità spetta non a tutti i cittadini ma al so-
lo principe, il diritto di cittadinanza «equivale soltanto a quello della proprietà» dei beni
ivi posseduti, e poiché il cittadino può trasferire i beni altrove con facilità, con la stessa

6 Come già Filangieri, anche Pagano non è insensibile al fascino delle istituzioni penali inglesi, la cui
conoscenza si diffonde progressivamente anche negli ambienti dell’Illuminismo italiano attraverso le
traduzioni francesi dei Commentaries on the Laws of England di William Blackstone (1765-1769) e mediante
altre opere di carattere divulgativo come La Constitution de l’Angleterre di Jean-Louis de Lolme (1771).

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