Page 138 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale
questione in oggetto risultano assai differenziate, e anche quando appaiono concordi
nell’indicare una specifica forma processuale, divergono quando si tratti di indicare i
motivi che hanno portato alla medesima scelta.
Così, i giuristi (accademici, giova sottolineare questo dato non casuale) che difen-
dono la superiorità del modello inquisitorio – Cremani e Renazzi – giungono a tale
conclusione seguendo un cammino assai diverso. Il primo la giustifica sulla base di
un’interpretazione rigida del pensiero di Montesquieu e con riferimento al solo dato
delle forme di governo. Il secondo sostiene la maggiore efficacia e concretezza di un
modulo che risulta peraltro assai carente, a causa della sua evoluzione storica, da un
punto di vista garantista e umanitario, e che quindi necessita di interventi legislativi volti
a eliminare gli effetti perversi di un costume giudiziario sviluppatosi senza controlli.
A loro volta, i giuristi favorevoli al metodo collegato alla libera accusa fanno di-
scendere tale opzione sia da un severo giudizio circa gli aspetti iniqui, persecutori e
disumani connaturati al vigente processo inquisitorio (De Simoni), sia da una visione
assai più ampia nella quale le medesime motivazioni garantiste e umanitarie sono le
conseguenze di una concezione innovativa dei rapporti sociali e del ruolo stesso del
diritto (Filangieri).
Vi sono infine prese di posizione articolate come quella di Pagano, che accompa-
gna a una netta propensione per il sistema accusatorio la proposta di riforme per lo più
moderate e diluite nel lungo periodo, nella convinzione che un intervento radicale sia,
nella situazione venutasi a creare, improponibile. Le conclusioni cui perviene la rifles-
sione di Pagano hanno in realtà aspetti quasi profetici, in quanto anticipano con sor-
prendente lucidità le scelte normative dell’età rivoluzionaria e napoleonica, dalle quali
scaturiranno le forme processuali ‘miste’ destinate a dominare per due secoli il pano-
rama della disciplina processualpenalistica nell’età della codificazione.
Il divario ora riassunto si spiega considerando le diverse sensibilità personali e le
differenti posizioni ideologiche nei confronti di una serie di problemi che nella sostanza
riguardano da un lato l’umanizzazione e la razionalizzazione delle procedure, dall’altro
la scelta degli strumenti atti a realizzare la tutela dei diritti. Peraltro, mentre si viene
affermando l’idea che la soluzione della questione processuale penale non possa non
collegarsi alla individuazione del punto di equilibrio tra difesa del singolo e protezione
degli interessi collettivi, le differenze sopra riscontrate trovano un sicuro punto di con-
tatto nella diffusa consapevolezza della necessità di porre fine al vigente sistema. Nel
tentativo di indicare forme nel contempo certe e funzionali, efficaci e rispettose dei di-
ritti, questo momento di sintesi si esprime attraverso le proposte di riforme che vanno
dalla semplice modifica in senso garantista del processo inquisitorio, al passaggio gra-
duale e morbido – mediante forme miste – al processo accusatorio, all’affermazione
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piena e assoluta di quest’ultimo modello.
7 In tale contesto, l’unico a non affrontare direttamente il discorso riformistico è Luigi Cremani. Egli si
limita a una sistemazione razionale della materia con una presa di posizione apparentemente rigida, ma che
viene pienamente giustificata, oltre che dalla collocazione personale e dalle opzioni politiche dell’autore,
dalla particolare natura (una prolusione universitaria) dell’Orazione pavese del 1775. Conviene
rammentare, al proposito, come in un clima politico e ideologico ormai completamente diverso una presa
di posizione assai più esplicitamente favorevole al modello inquisitorio sarà manifestata da Cremani nel
primo volume dei De Iure Criminali Libri Tres (Pavia 1791).
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