Page 119 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Capitolo 10 – Accusa e inquisizione nella dottrina dell’Età dei Lumi

decretata dall’imperatrice Maria Teresa negli Stati ereditari della corona austriaca il 2
gennaio 1776 e sull’impressione della lettura degli atti del processo milanese agli untori
del 1630, essa riprende taluni temi già discussi nell’Accademia dei Pugni e trattati da
Beccaria nel Dei delitti e delle pene e costituisce un formidabile atto di accusa nei con-
fronti del processo inquisitorio di Antico Regime – definito «un labirinto di una strana
metafisica» (con un’espressione che richiama quasi alla lettera il «labirinto di strani
assurdi» del Dei delitti e delle pene) – e del suo aspetto forse più iniquo, costituito ap-
punto dalla tortura giudiziaria.
Pur essendo rimaste del tutto ignote agli autori che nell’Italia dei Lumi hanno di-
scusso il tema della forma del processo penale, le Osservazioni di Pietro Verri esprimo-
no con grande efficacia critica la sempre più diffusa consapevolezza, nella cultura illu-
minista, della natura violenta dei tradizionali metodi di repressione penale e della loro
inadeguatezza nei confronti dei nuovi orizzonti del pensiero giuspolitico, con riferimen-
to sia al tema della tutela dei diritti della persona che alla questione dei compiti e del
ruolo delle pubbliche istituzioni.
Ci limitiamo in questa sede a portare all’attenzione del lettore il seguente passo
(tratto dal § XV dell’opera), che con pochi tratti di notevole effetto sintetizza i momenti
essenziali della prassi inquisitoria, segnalandone i vizi e le irregolarità più evidenti: la
violenza nei confronti della persona, della sua libertà personale e della sua dignità; la
cupa segretezza; il totale spregio dei diritti della difesa; la ricerca con ogni mezzo della
confessione; le lungaggini procedurali.

La nostra pratica criminale è veramente un labirinto di una strana metafisica. Si
prende prigione un uomo, che si sospetta reo di un delitto. Quest’uomo cessa in
quel momento di avere una esistenza personale. Egli è un essere ideale posto nelle
mani del Fisco, il quale lo interroga, lo inviluppa, lo spreme, lo tormenta sinché o
colle contraddizioni o colle incoerenze, ovvero colla confessione del delitto smun-
ta col tedio del carcere, colla miseria e colle torture, possa il Fisco aver tratto da
lui medesimo abbastanza per citarlo in giudizio. Fatte tutte queste lunghe e crudeli
procedure, nel qual tempo non è permesso al reo di essere assistito o difeso, ecco
il Fisco che lo cita e lo costituisce avanti il giudice reo del tal delitto. Nei paesi più
illuminati, in vece, si prende una strada più breve e naturale. Appena posto in car-
cere il sospetto uomo, nel primo esame si considera cominciare il giudizio. Gli si
pone in faccia il motivo per cui si sospetta reo; gli accusatori gli si pongono da-
vanti, se ve ne sono. Se gli cerca ragione o discolpa: e così facilmente, e per una
via più chiara, placida e regolare si termina ogni processo.
















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