Page 115 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
P. 115







Capitolo 10 – Accusa e inquisizione nella dottrina dell’Età dei Lumi

10.11. Una voce senza incertezze: Alberto De Simoni
Nel sottolineare la necessità di combattere gli usi processuali contrari ai sentimenti di
giustizia, Renazzi ricorda come una posizione analoga sia stata espressa in modo signi-
ficativo («graviter») da Alberto De Simoni – un altro tra i criminalisti che abbiamo de-
finito ‘postbeccariani’ – nel trattato Del furto e sua pena, pubblicato nel 1776 contem-
poraneamente all’Orazione di Cremani e un anno prima della Diatriba di Renazzi.
L’opera del giurista valtellinese, di pochi anni più anziano di Renazzi e di Crema-
12
ni, ha in effetti un contenuto che va al di là di quanto indichi il titolo poiché presenta,
nella seconda parte, un’ampia trattazione generale relativa ai problemi del processo pe-
nale. Al contempo seguace e critico di Beccaria, De Simoni considera il diritto e la pro-
cedura criminale vigenti un prodotto dei tempi bui della barbarie frammischiato alla
farragine interpretativa dei giuristi pratici del tardo diritto comune, e ne propugna una
riforma in senso umanitario basata sui principi del diritto naturale.
Netta in questo autore è la contrapposizione tra i modelli processuali:
Due maniere di procedere criminalmente vi sono; l’una chiamasi accusatoria,
l’altra inquisitoria. La prima, che sembra la più mite, trae la sua origine dal gius
romano; la seconda pretendesi derivata dal diritto pontificio.

Dopo avere discusso e difeso le radici rispettivamente romanistiche e canonistiche dei
due sistemi, De Simoni ne sintetizza i caratteri, sottolineando ancora la «non leggiera
disparità» che li contraddistingue. Il processo accusatorio, infatti,

s’intraprende dal giudice colla precedenza dell’accusa per mezzo del libello accu-
satorio intentata, in cui devesi porre una succinta e precisa storia del fatto, il nome
dell’accusatore, dell’accusato, del giudice, del delitto, della persona contro di cui e
con cui fu commesso, non che il tempo in cui è seguito, e niente più; poscia ricer-
casi in questo processo la sicurtà dell’accusatore, la risposta del reo, le prove e le
riprove, e la sentenza.

Al contrario, nel processo inquisitorio,

che il giudice intraprende ex officio, senza precedenza di formale accusa, per una
nuda e semplice segreta notizia o denunzia, o anche per la sola fama, inquire egli e
intorno il delitto occulto e le di lui circostanze, ed intorno l’autore. Va egli am-
massando prove di ogni genere, cita testimonii, gli esamina e forma gli articoli in-

12 Alberto De Simoni (Bormio 1740 - Ardenno 1822), dopo studi giuridici intrapresi a Innsbruck e a
Salisburgo, dal 1762 esercita l’avvocatura nella natia Valtellina ricoprendo saltuariamente anche incarichi
amministrativi e giurisdizionali. Giurista non accademico ma di vasta cultura anche filosofica, si mette in
luce con il Del furto e sua pena (Lugano 1776), nel quale la riforma del sistema penale viene delineata con
spirito sistematico e pragmatico, e con il successivo Dei delitti considerati nel solo affetto (Como 1783).
In epoca rivoluzionaria partecipa alle vicende che portano al distacco della Valtellina dai Grigioni. Dal
1802 collabora a Milano ai lavori di codificazione, e in tale contesto appronta un progetto di codice civile
per la Repubblica Italiana (1802-1803) e sovrintende alla traduzione italiana del Codice Napoleone (1805).
Giudice d’appello (1804) e consigliere di cassazione (1807), ritorna negli ultimi anni a studi di
impostazione giusnaturalista (Del diritto pubblico di convenienza politica, Como 1807; Saggio critico
storico e filosofico sul diritto di natura e delle genti, postumo, Milano 1822).

105
   110   111   112   113   114   115   116   117   118   119   120