Page 118 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Ettore Dezza – Lezioni di storia del processo penale
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discendendo da una cultura giuridica e da letture comuni, individuano tre modi nettamen-
te autonomi e ben differenziati di affrontare e risolvere il problema della scelta tra il man-
tenimento delle vigenti forme inquisitorie e l’attuazione di un sistema di tipo accusatorio.
La difesa del processo inquisitorio, considerato come necessaria conseguenza della
forma di governo monarchica, è attuata da Cremani mediante un’applicazione in senso
decisamente conservatore degli schemi relativistici elaborati da Montesquieu. Il giurista
toscano non disconosce direttamente la bontà del principio accusatorio, ma risolve il
problema in via indiretta, collegando rigidamente la forma del procedimento alla forma
(data per scontata) del governo, ed evitando di entrare nel merito di questioni che po-
trebbero rimettere in discussione una costruzione in apparenza ineccepibile.
Renazzi ha un approccio al problema molto più articolato, basato sul tentativo di
conciliare, quantomeno nelle conclusioni relative alla questione in oggetto, le varie te-
matiche penalistiche presenti nell’Età dei Lumi. Egli non sembra ritenere decisiva la
scelta di un modello astratto e preferisce affidare al rispetto delle formalità procedurali
il compito di garantire i diritti di libertà e di uguaglianza dei consociati. Ne risulta in
concreto un esplicito riconoscimento del meccanismo inquisitorio come modello che
più di ogni altro si dimostra adatto a conseguire gli scopi della giustizia punitiva, pur-
ché liberato e depurato da tutti gli elementi iniqui e disumani che l’hanno avvolto gra-
zie all’affermarsi di consuetudini giudiziarie estranee alla natura del procedimento.
Anche De Simoni riconosce l’efficacia delle procedure inquisitorie, ma pone deci-
samente in primo piano gli aspetti garantisti e umanitari della questione, affermando la
necessità di un ritorno al processo accusatorio di matrice romanistica come il solo in
grado di proteggere efficacemente i diritti della persona. Giurista non accademico e non
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sempre coerente nelle sue prese di posizione, De Simoni è l’unico tra i giovani autori
che – come già Montesquieu – collochi alle origini delle asprezze più rilevanti
dell’inquisizione l’identità tra la figura dell’accusatore e quella del giudice, ed è anche
l’unico che consideri tali asprezze decisamente connaturate allo spirito stesso del proce-
dimento inquisitorio.
10.13. L’opinione di Pietro Verri
A chiusura del presente capitolo è opportuno fare un rapido cenno a uno scritto con-
temporaneo alle opere testé esaminate che, pur non avendo offerto alcun contributo al
dibattito in esame, risulta nondimeno assai utile per definire il clima culturale in cui
esse si inseriscono. Ci riferiamo alle Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri che,
composte tra il 1776 e il 1777, sarebbero state pubblicate postume da Pietro Custodi
solo nel 1804. L’opera è oggi ben nota: scritta sulla scia dell’abolizione della tortura
13 Letture comuni che, sullo sfondo di una solida e ampia cultura classica, possono essere ordinate in tre
gruppi: il primo è formato da opere di criminalisti pratici, risalenti in particolare ai secoli XVI e XVII; il
secondo ricomprende opere di giuristi dotti e di filosofi collegati al pensiero giusnaturalista e giusrazionalista;
il terzo risponde a una impostazione più strettamente illuministica, e si basa su una particolare predilezione
per Montesquieu e su una approfondita, anche se non sempre convinta, conoscenza di Beccaria.
14 Significative al riguardo appaiono le opinioni possibiliste in tema di tortura talora espresse dal giurista
valtellinese.
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