Page 102 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
P. 102







90 Gianna Petrone

27
dimostrata. Il pianto, da coro tragico, delle matrone, espressione di un dolore anticipato
per qualcosa che non è ancora avvenuto, è tuttavia introdotto da un paragone che lo
spiega: così all’inizio di un lutto si comporta una madre, quando si stringe al corpo del
figlio appena morto, al suo volto esanime e agli occhi: sic funere primo /… cum corpora
nondum / conclamata iacent… (vv. 21-26). Lucano coglie l’attimo, raffigurato
dall’incipit del secondo coro delle Troades, come mostra il confronto tra corpora nondum
/ conclamata iacent e il senecano corporibus… conditis, della separazione dal proprio
caro defunto, con il particolare della chiusura degli occhi, sostituendo il gesto della madre
a quello della moglie. Al poeta epico il paragone, ispirato dal testo tragico, serve, per
analogia, come immagine tesa a illuminare il successivo threnos delle matrone romane al
presagio del furore civile: la scena familiare a premessa del compianto pubblico. Non
manca in questo prologo epico la riflessione ontologica: sia che l’autore del mondo abbia
già deciso il destino, sia che il caso governi le cose umane, che almeno la mente degli
uomini ignori il futuro e chi teme possa sperare (Lucan. 2,7-15). La citazione si trova
dunque a ricalcare un simile ambito semantico, dove le parole-chiave sono il lutto
collettivo, metonimicamente rappresentato anche dalla cellula familiare (la madre che
chiude gli occhi al figlio, come faceva in Seneca la coniunx verso il marito) e la certezza
acquisita della sventura futura.
L’eco lucanea significativamente riadatta infatti la dinamica delle Troades, che
mette in successione rivelazioni profetiche del futuro e conseguenti lamentazioni per le
28
attese sciagure, secondo quanto è proprio di una climax tragica. Tra il vaticinio di
Calcante e il secondo coro delle Troades intercorre una strategia compositiva che si può
descrivere negli stessi termini: con il raddoppiamento del motivo del sacrificio, l’autore
29
conseguiva lo scopo di «rappresentare il dolore nel suo più alto grado possibile», con
un effetto di grande pathos prolungato dalla meditazione del coro. In Seneca, con il
primo coro, il compianto vero e proprio precede l’enunciazione dei fati, mentre invece
in Lucano la segue. Nel poeta della Farsaglia, al ricordo del primo coro collabora an-
che un inserto tratto dall’immagine iniziale del secondo coro, attraverso il ritratto della
madre dinanzi al corpo del figlio, che ripete la funebre pietas della coniunx senecana.
La lettura di Lucano ha valore di un’interpretazione e la sua ripresa ci indirizza a va-
lutare il significato ‘prolettico’ del coro senecano nei confronti di quanto è stato annun-
ciato, il doppio sacrificio, e sta per accadere con l’annullamento di ogni residua speranza.

Ma, alla fine, nella tensione tra Achille, che da morto ottiene il suo scopo, ed Ettore,
ombra inerte, incapace di salvare suo figlio perché privo di vera esistenza, la tragedia
trova o no una sintesi unitaria?
Dicevamo che Andromaca era nel giusto, di contro al vecchio, quando presentiva
un maius malum, peggiore dei dolori precedenti: il sacrificio di Astianatte, bambino

27 Cfr. Fantham (1992, p. 84, 24), per la segnalazione di un luogo parallelo; Perutelli (2000, p. 149). Da
questo attacco lucaneo muove Casamento (2005, p. 59 ss.) per la sua interpretazione della concatenatio della
storia nella Pharsalia.
28 Sulla connessione dei tempi nella narrazione lucanea come tratto di origine drammatica cfr. Conte (1985 ,
2
p. 96 s.), che parla di «una forte tensione dialettica proiettata in tre diverse dimensioni, di presente (angoscia),
di passato (rievocazione di terrore), di futuro (ansiosa predizione di terrore)».
29
Cfr. Steidle (1941, p. 281).

   97   98   99   100   101   102   103   104   105   106   107