Page 97 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Troia senza futuro 85

è la sorte di Astianatte, e, di contro, la speranza nell’al di là, quale nutre ad esempio
Andromaca, desiderosa di ricongiungersi con i Mani di Ettore: in questo senso il ruolo
‘contrastivo’ del secondo coro ubbidisce al disegno compositivo, senza che tuttavia
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venga proposta un’unica soluzione.
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In questo quadro, ormai abbastanza consolidato, resta forse da chiedersi se non vi
sia neanche un minimo tentativo di dare identità di personaggio a questo secondo coro e
se la verità che declina, per parziale che possa essere, non abbia una convalida nel fina-
le, sostanzialmente unitario, nonostante il doppio racconto del messaggero, che narra di
due morti eroiche, quella di Astianatte e quella di Polissena.
La chiusa delle Troades peraltro è siglata dalla partenza che disperderà le prigio-
niere, con un’apostrofe alla collettività delle donne troiane e dunque un’evocazione del
coro, protagonista titolare della tragedia, come ultima parola.

Se è vero che nei cori senecani è talvolta difficile scorgere quali siano i personaggi che
lo compongono, addirittura se si tratti di uomini o di donne, per cui ci si trova di fronte
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a un genere indefinito non è questo sicuramente il caso delle Troades, dove sono le
prigioniere troiane a dar nome alla tragedia e ad assicurarne la coesione, svolgendovi
una parte determinante. In nessun’altra tragedia senecana i cori sono così importanti e
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decisivi: qui Seneca sembra intercettare a ritroso l’essenza antica del teatro greco, che
partiva dal coro e dalla sua ‘voce addolorata’ per procedere al dialogo con l’hypocrités.
In effetti il primo coro riscrive una perfetta partitura di ortodossia drammaturgica, con
Ecuba in luogo di corifea e le donne in sintonia con lei, presentandosi nella forma, ma
anche nel tema della liturgia funebre, come assolutamente classico.
Non è quindi senza significato che le prigioniere esordiscano ricordando di essere
avvezze al pianto e di avere lunga esperienza di lacrime (non rude vulgus lacrimisque
novum / lugere iubes: / hoc continuis egimus annis, v. 67 ss.): nell’enfasi dedicata a
questa ‘abitudine’ può leggersi la consapevolezza dello spessore del tema trattato e il
rimando all’imponente dimensione letteraria e teatrale, che, necessariamente presuppo-
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sta, viene adesso rinnovata alla vecchia maniera.

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Per la mancanza di risoluzione del conflitto sull’al di là, posto dalle Troades, vd. Mazzoli (2006); la
funzione antitetica di contrasto alle scene, che Seneca attribuisce in generale ai cori, è acquisizione di
Mazzoli (1986-1987, pp. 99-112, e 1996, pp. 3-16).
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Con l’eccezione del commento di Keulen (2001, p. 268 ss.), che, convinto della presenza di un secondo
coro, sulla scorta della didascalia che in A al v. 164 assegna la battuta ad un chorus Graecorum (accolta da
Stroh, [1994, p. 261, n. 69, e 2008, p. 213, n. 55], ma giudicata per lo più non credibile o diversamente
risolta, cfr. Amoroso, [1984, p. 120 ss.]), attribuisce il secondo coro ai soldati greci, la cui voce differente
cancellerebbe dunque la rilevata incoerenza con il primo coro delle donne. Ma l’impraticabilità di questa
ipotesi è resa evidente dalla presenza delle donne immediatamente dopo la fine del secondo coro, visto che a
loro si rivolge Andromaca, domandando il motivo del pianto: quid, maesta Phrygiae turba laceratis comas,
v. 409. Su questo problema cfr. adesso Mazzoli (2011).
13 Sulla mancanza di una identificazione certa dei componenti del coro come elemento di forza della
drammaturgia senecana vd. Hill (2000, p. 565): «divorcing them [choruses] from a specific identity, Seneca
liberates them to draw out whatever mood or argument is especially relevant at particular moments in the
drama».
14 Vd. Davis (1993, p. 25, 220).
15 Osserva finemente Aricò (2006, p. 67 s.): «mi sembra rilevante l’autocoscienza di questo Coro senecano,
che assegna a se stesso, con linguaggio metateatrale, l’incombenza del compianto: quasi la rivendicazione di
uno statuto drammatico…».


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