Page 98 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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86 Gianna Petrone

Tra i tratti identificanti, che definiscono un personaggio collettivo ben riconoscibi-
le, i cori delle Troades vantano non solo l’attribuzione, alla turba che li compone, di
uno stato d’animo preciso, che è poi il dolore derivato dalle conseguenze disastrose del-
la guerra iliadica, archetipo per eccellenza di ogni conflitto (e quindi in un certo senso
un sentimento di grande responsabilità letteraria nella tradizione epico-tragica occiden-
tale), ma anche l’assegnazione di una condizione determinata (su cui verte l’unità di
tempo del dramma e la connessione principale con l’omonimo dramma euripideo),
quella di prigioniere in ansiosa attesa del sorteggio, che non si sa dove manderà ciascu-
na di loro (argomento del terzo coro), sul punto di una dolorosa separazione, che le pri-
verà del sollievo dato dalla condivisione della sofferenza (argomento del quarto coro).
Lo statuto a cui si ispira la scrittura senecana, possiamo concluderne, appare qui rispec-
chiare il precetto oraziano che assegnava al coro la parte di attore e un ruolo individua-
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le, in quanto le donne troiane hanno una fisionomia ben delineata (a differenza di
quanto avviene nella maggioranza dei casi nei cori tragici senecani).
L’eccezione del secondo coro segna allora una cesura in questa personalizzazione,
per il resto di inconsueta intensità? Fino a un certo punto: infatti si lasciano scorgere dei
legami e delle determinazioni che incardinano la sublime e rarefatta meditazione nel
succedersi degli eventi e negli affetti dei personaggi.
Intanto l’immagine di partenza della moglie che con la mano chiude gli occhi al
marito morto rima in continuità: soprattutto da coniunx, nel suo ricordo di Priamo, si è
sinora comportata Ecuba e coniunx per antonomasia, nella successiva immediatezza, si
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mostrerà Andromaca, nel suo rapporto esclusivo con il defunto Ettore. Il modo con
cui il coro accosta il funus, centrandolo sulla sposa colta nel momento della scomparsa
del marito, manifesta dunque una provenienza definita, scoprendo la proiezione di un
punto di vista femminile e orientato. L’aprirsi dei versi lirici su un quadro di lutto do-
mestico rivela infatti come vi parli la sensibilità coniugale, che interpreta la devozione
matrimoniale, resa evidente nell’individuazione del momento in cui avviene il congedo
estremo dal marito. Da questo sfondo, che non è assolutamente neutro, ma intenzional-

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Vd. ars 193 s.: actoris partis chorus officiumque virile / defendat…; cfr. Aricò (2006).
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Il rapporto con il contesto mi sembra garantire che qui si possa interpretare come ‘sposa’ il termine
coniunx, di per sé indeterminato e valido ad indicare sia il marito che la moglie. Nell’uso di Seneca tragico se
ne registrano molte occorrenze in entrambi i generi, ma con una spiccata preferenza per il femminile, sì da
farvi sospettare uno ‘stilema’ (cfr. per il maschile Ag. 110; H.f. 388; Phaedr. 865 e per il femminile Ag. 117,
364, 882, 1002; H.f. 680; H.O. 658, 953, 957; Med. 17, 91, 125, 279, 581, 928; Oed. 773; Phaedr. 226). Nelle
Troades in più si segnala un filo conduttore, legato al motivo femminile e alle virtù tradizionali, per cui la
coniunx è fida (Troad. 453), pia (Troad. 501), sanctissima (Troad. 698). Anche nella Medea è parola chiave,
che comprende la sfida della moglie abbandonata (che il coro chiama coniunx viduata taedis, 581), alla nova,
come pure il conflitto tra il desiderio di vendetta di Medea tradita e il suo amore dei figli (materque tota
coniuge expulsa redit, 928). Se forse un margine di ambiguità, nel nostro passo, è il residuo di una tensione
verso l’universale che qui il coro tende a far propria, testimonia ancora della ‘femminilità’ di coniunx il fatto
che qui venga raffigurato un atteggiamento caratteristico della caritas nei confronti dello sposo. D’altronde la
specificità culturale si insinua facilmente, scoprendo la ratio linguistica. Così se sono normali gli epiteti dal
luogo di origine, riferibili a entrambi i generi e, per es., Admeto è Pheraeus coniunx (Med. 662) o Anfitrione
Thebanus (H.O. 1776) a pari diritto di Procne, Threicia coniunx (H.O. 953), vale solo in un senso la
possibilità di definire uno dei due soggetti del coniugium in base all’altro. Fedra è per es. Thesea coniunx
(Phaedr. 129), senza reciprocità. Così come Ecuba in Ovidio era Priameia coniunx (met. 13,513) e
Andromaca in Virgilio Hectorea (Aen. 3,488). Ci troviamo di fronte a un nodo culturale, che comunque, nel
nostro caso, si può sciogliere.


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