Page 153 - Ettore Dezza, Lezioni di storia del processo penale, Pavia, Pavia University Press, 2013
P. 153







Appendice – La difesa tecnica nella storia del processo penale

dunque demoliscono la parte del codice più orientata a recepire i principi accusatori.
L’effetto è dirompente, poiché per qualche anno la disciplina del processo penale arre-
tra di nuovo a una fase addirittura preromagnosiana. L’indagine preliminare si muta in
12
una sorta di «gigantesca istruzione sommaria» in grado di condizionare gli esiti dibat-
timentali: «qualcosa di peggio, quindi, di un semplice ritorno all’istruzione formale del
modello misto, perché gli atti divenuti utilizzabili in chiave probatoria non sono com-
13
piuti da un giudice, ma direttamente dall’accusatore o dalla polizia giudiziaria».
b) Nel 1997 un primo timido tentativo di recuperare almeno in parte le garanzie del
contraddittorio è attuato con la legge n. 267 del 7 agosto 1997, che prevede la inutiliz-
zabilità delle dichiarazioni rese erga alios nell’indagine preliminare da parte del coim-
putato che si avvalga in dibattimento del diritto al silenzio.
c) Nel 1998 una ulteriore sentenza della Corte Costituzionale (la n. 361), in piena
coerenza con gli interventi del 1992, dichiara illegittima anche la legge n. 267 del 1997.
d) Nel 1999 la vicenda si chiude con la ferma e conclusiva risposta costituita dalla
fondamentale e condivisa riforma dell’art. 111 della Costituzione (legge costituzionale
n. 2 del 23 novembre 1999), con la quale vengono inseriti nella Carta Fondamentale i
principi del ‘giusto processo’ attraverso una dettagliata enunciazione delle essenziali
garanzie processuali (riserva di legge per la materia processuale, terzietà e imparzialità
del giudice, parità tra le parti, formazione della prova in contraddittorio, ragionevole
durata del processo, diritto a conoscere natura e motivi dell’accusa, effettività del diritto
di difesa, diritto alla confutazione dell’accusa, diritto alla produzione di prove, inidoneità
delle dichiarazioni non confermate in dibattimento a costituire prova di colpevolezza).
Il penalista, sballottato tra i flutti di questo mare magnum giurisprudenziale e nor-
14
mativo, ha dovuto sviluppare una costante attenzione e una continua applicazione per
non rimanere tagliato fuori dal mestiere che, bon gré mal gré, si era scelto. Un elemen-
to forse positivo non è peraltro mancato pure in una situazione così agitata, e si tratta di
un elemento che ha forse contribuito ad accelerare il necessario rinnovamento della
professione. Non sembra infatti azzardato affermare che in questa pur disarticolata e
spesso contraddittoria stagione legislativa sia comunque possibile cogliere le prime
manifestazioni delle nuove competenze, delle nuove tecniche e delle nuove professiona-
lità che oggi vengono richieste in maniera sempre più pressante all’avvocato penalista.
Per lo sviluppo spesso vertiginoso di queste nuove competenze tecniche e profes-
sionali si deve indubbiamente pagare un prezzo, e in particolare sacrificare almeno una
parte delle tradizioni dell’‘arte forense’. Finisce così per appannarsi forse definitiva-
mente – e non vogliamo giudicare se questo sia un bene o un male – il tradizionale mito
non privo di risvolti romantici e letterari del principe del foro, che solitario si erge con
le armi del diritto, della logica e dell’eloquenza a pubblica difesa dell’innocenza mi-
nacciata. Un mito nato, come abbiamo visto, or sono circa due secoli quando un’altra


12 Livio Pepino, Legalità e diritti di cittadinanza nella democrazia maggioritaria, «Questione Giustizia»,
12 (1993), 2, pp. 237-300, in particolare p. 282.
13 Ferrua, Il ‘giusto processo’, p. 7.
14 Nel 2004 è stato realizzato anche un progetto ministeriale per un nuovo codice di procedura penale
(Progetto Dalia), suggerito dalla necessità di adeguare la disciplina codicistica alle innovazioni
costituzionali e normative susseguitesi dal 1989.

143
   148   149   150   151   152   153   154   155   156