Page 173 - Stefano Rastelli (a cura di), La ricerca sperimentale sul linguaggio: acquisizione, uso, perdita, Pavia, Pavia University Press, 2013
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riconoscimento della voce nello sviluppo tipico, ma anche per dimostrare che
l’infante analizza le caratteristiche prosodiche del discorso ed è in grado di
discriminare le differenze ritmiche della voce materna da quella di estranei.
Per garantire una buona comunicazione tra persone è opportuno
riconoscere dei segnali che indicano l’intenzione di comunicare, come il contatto
degli occhi. A tal proposito Grossmann et al. (2010b) hanno approfondito il ruolo
della corteccia prefrontale coinvolta in questa funzione in soggetti di 5 mesi,
considerando che a questa età gli infanti sono sensibili al contatto degli occhi e a
stimoli come il proprio nome. Lo studio prevedeva, in una prima sessione, la
visione di volti umani che mostravano un contatto negli occhi o che dirigevano
lo sguardo via dall’infante e, in una successiva sessione, l’ascolto delle voci che
chiamavano il loro o un altro nome. I risultati rivelarono che gli infanti
reclutavano aree adiacenti nella corteccia prefrontale dorsale sinistra quando
elaboravano il contatto degli occhi e il proprio nome. Tali evidenze indicano che
gli infanti elaborano selettivamente i segnali comunicativi diretti a loro, sebbene
non utilizzino le stesse aree quando elaborano segnali comunicativi di diversa
modalità.
L’apprendimento del linguaggio è stato anche analizzato nei soggetti
monolingui e bilingui per comprendere la capacità di elaborazione fonetica nelle
persone che padroneggiano una o due lingue. Nei primi mesi di vita gli infanti
sono in grado di discriminare un’ampia varietà di contrasti fonetici, tuttavia con
il tempo, tale sensibilità lascerebbe lo spazio a una specializzazione verso i
contrasti rilevanti per la propria lingua nativa. Secondo l’ipotesi ‘uditiva
generale’, i bambini monolingui imparano le unità fonetiche del loro linguaggio
utilizzando meccanismi uditivi generali che durante il primo anno di vita
diventano sempre più specializzati per il linguaggio. Tale sensibilità dipende
dalla frequenza di esposizione agli stimoli legati alla lingua nativa e dalla
salienza dei contrasti fonetici, attraverso cui è possibile costruire delle
rappresentazioni mentali legate ai fonemi o ai suoni. Secondo l’ipotesi ‘specifica
del linguaggio’, i bambini monolingui possiedono meccanismi specifici dedicati
al linguaggio grazie ai quali sono in grado di sintonizzarsi su caratteristiche
temporali e ritmiche tipiche del linguaggio. Per apprendere il linguaggio,
secondo questa ipotesi, è necessaria un’esposizione sistematica alla lingua che
consente di cogliere certe regolarità fonetiche e fonemiche. Per comprendere i
meccanismi che guidano l’acquisizione del linguaggio, tali ipotesi sono state
valutate in uno studio di Petitto et al. (2012) in cui soggetti bilingui e monolingui
di 4-6 mesi e di 10-12 mesi venivano testati in un compito di elaborazione del
linguaggio. Ai soggetti erano presentati stimoli fonetici nativi (inglese) e non
nativi (Hindi) e stimoli non linguistici (toni). Se l’ipotesi ‘uditiva generale’ che