Page 96 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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giunta in contraddizione con il contesto. La questione è ben nota: il secondo coro sem-
bra infatti contrapporre una frontale antitesi al coro precedente, che, nell’orizzonte
quanto mai tradizionale del compianto funebre, mostra di credere nel destino immortale
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dell’anima. Quando infatti in questo primo coro il pietoso lamento rituale delle donne
troiane, guidate da Ecuba, sui caduti Ettore e Priamo, trasformava il lutto nel ricono-
scimento della ‘felicità’ di Priamo, attraverso l’assunto consolatorio che la morte lo
aveva ‘liberato’ dai mali, finiva per immaginare il vecchio re di Troia nel rassicurante e
sereno sfondo dei campi Elisi. Soprattutto poi, a causa del ‘razionalismo’ del secondo
coro, risulta vacillare l’intero impianto della tragedia, la cui azione drammatica è inne-
scata da due presenze fantasmatiche. Il primo ‘movimento’ è infatti scatenato
dall’apparizione sconvolgente dell’ombra del morto Achille, venuto a richiedere per sé
il sacrificio della vergine Polissena (un evento descritto come ‘reale’, perché accompa-
gnato e avvalorato da paurosi fenomeni naturali), il secondo ‘movimento’ proviene dal-
la comparsa del morto Ettore, che si presenta in sogno ad Andromaca perché questa
sottragga Astianatte ai Greci che vogliono ucciderlo (un’apparizione di segno opposto,
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incerta, limitata e con i segni del degrado e della sconfitta).
Rispetto alla tesi secondo cui nel secondo coro ci sarebbe una ‘intrusione editoria-
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le’ e vi interverrebbe il poeta stesso in prima persona, gli studi più recenti ne hanno
invece accreditato la funzione drammatica, mostrando come, mentre il primo coro è
strettamente in relazione alla comparsa ‘vera’ di Achille, il secondo si accordi piuttosto
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a quella, diversa e ‘fragile’, di Ettore, onirica allucinazione della sola Andromaca.
L’alternativa del canto sull’annullamento trova senso allora nello sviluppo dell’azione,
che prevede il prossimo sacrificio, ormai sancito da Calcante, di Polissena e Astianatte:
facendo seguito al duro intervento del sacerdote, che ha ordinato la doppia morte della
fanciulla e del bambino, il coro ‘rivede’ le sue posizioni, confortandosi con la prospet-
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tiva della mortalità individuale. Si fa notare inoltre come, nonostante la discontinuità
di una struttura ‘disgiuntiva’ o ‘asindetica’ e il cambiamento di idea, la valutazione ‘po-
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sitiva’ della morte rimanga la stessa. La tensione tra i due punti di vista, riguardo il
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destino dell’anima dopo la morte, è profondamente innervata nel dramma, proprio
perché vi coesiste, nella dinamica dei fatti rappresentati, il dilemma tra l’estinzione, tale
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Cfr. Zwierlein (1966, p. 78, 88), Pratt (1983, p. 109), Fantham (1982, p. 262). Lo scandalo già espresso da
Farnabius (L. Annaei Senecae Tragoediae cum notis Farnabii, Lugduni Batavorum 1623), secondo cui le
Troiane mente captae parlerebbero in modo empio («Chorus e mulieribus Troianis tam mente quam corpore
captis, quo Achillis animam apparuisse neget, ex Epicuri sententia, quae nec Stoicorum multo sanior, stulte et
ut semel de toto choro moneam impie animam cum corpore interire asserire»), riflette l’inaccettabilità
ideologica di questi versi da un punto di vista cristiano, rivelando il sopraggiunto ‘salto’ culturale. Più in
generale, sulla funzione del divino nelle Troades vd. Lefèvre (1988-1989).
4 Cfr. Lawall (1982, p. 247), Owen (1970, pp. 122-125), Wilson (1983, p. 51).
5 Di contro, l’esemplare analisi di Schetter (1965), nel momento in cui ha ben chiarito il significato strutturale
delle due apparizioni, ha mostrato anche nel coro «un ben ponderato incastro drammatico».
6 Cfr. Fantham (1982, p. 85).
7 Cfr. Caviglia (1981, p. 45 ss.), Davis (1993, p. 140). Ma già a suo tempo il Trevet aveva intuito il rapporto
tra l’apparizione di Achille e il coro.
8 Cfr. Davis (1993, p. 48).
9 Cfr. Boyle (1994, p. 172 ss.).
10 Il corrispondersi delle due apparizioni in un sistema di contrappesi, su cui Seneca stesso ha voluto
richiamare l’attenzione, è dimostrata da Schetter (1965, p. 408 ss.).