Page 151 - Fabio Gasti (a cura di), Seneca e la letteratura greca e latina. Per i settant’anni di Giancarlo Mazzoli, Pavia, Pavia University Press, 2013
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Virgilio in Seneca tragico 139
Di qui l’ultima, conclusiva considerazione. Che riguarda non la recezione, ma
l’analisi della visione, ontologica, della vita, espressa dai due grandi, forse i due più
grandi autori della latinità.
Essa, per V., rimane una tremenda, irrazionale Wellenzuleben. Alla domanda di Enea
quae lucis miseris tam dira cupido? (Aen. 6,721) Anchise illustra una descrizione
dell’immortalità dell’anima, e della sua eterna oscillazione tra qua e aldilà, che, sintesi un
po’ di tutte le religioni e filosofie che trattavano l’eternità dell’anima, 47 offre forse un
tentativo di risposta a cupido, ma non a tam dira, epiteto che, non solo nella sua
paraetimologia, ma anche nel suo uso concreto, poetico e non, rimanda a una semantica di
cieca irrazionalità, fino a sfiorare nuances vicine a ‘oltre la norma’ e addirittura ‘contro
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natura’.
Per S., invece, la vita è un valore solo in quanto occasione esistenziale per esercitare
la virtus che può collocare il sapiens addirittura al di sopra di Dio stesso (per esempio De
providentia). Perché solo la virtus ha reale valore ontologico, tanto che il sapiens sarà
pronto a rinunciarvi – si pensi a tutta la meditazione ed esaltazione del suicidio di S.
filosofo oltre che di S. tragico! – qualora ‘la sua vita’ non renda più possibile l’esercizio
della virtus stessa. A meno che, come descritto nello Hercules furens e nella
autobiografica epistola 78, un valore ancora più grande del proprio ego (come appunto
l’amore per un genitore anziano e bisognoso) non ne giustifichi, ancora una volta, un
valore in sé ma per un’eroica declinazione della Virtù.
Ma né la dira cupido di V., da cui scaturisce il Dasein, né la virtus di S., che lo
giustifica, hanno in sé la forza sufficiente a conferire un valore al Sein della vita in quanto
tale, sia del singolo uomo sia dell’umanità: la quale, nella fenomenologia di sé attraverso
la politica e la storia, conserva sia nel poeta augusteo sia nel poeta neroniano, una
profonda, irriducibile connotazione tragica.
E così per questa via anche S. poeta – per dirla con Mazzoli – è stato il primo grande
interprete di V.: e, per molti aspetti – una volta sostituito il ‘mito’ della fondazione di Roma
con quello della fondazione della virtus – perfino, paradossalmente, il suo successore.
Bibliografia
Austin, Roland G. [ed.] (1997), P. Vergili Maronis Aeneidos liber sextus, with a Commen-
tary, Oxford, Clarendon Press.
Averna, Daniela [ed.] (2002), Lucio Anneo Seneca, Hercules Oetaeus, testo critico, tradu-
zione e commento, Roma, Carocci.
Bailey, Cyril [ed.] (1947), Titi Lucreti Cari De rerum natura libri sex, vol. II, books I-III,
Oxford, Clarendon Press, 1947.
Billerbeck, Margarethe [ed.] (1999), Seneca, Hercules furens, Leiden, Brill, 1999.
47 Pitagorismo, platonismo, stoicismo e perfino aristotelismo e ancor altro: cfr., per es., le voci Epicureismo,
Pitagorismo, Stoicismo, Spiro/Spiritus, etc. in Enciclopedia Virgiliana.
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Cfr. Traina (1981, pp. 18 ss.).